Como, la nomina a capitale della cultura
«Grande chance, dobbiamo provarci»

De Santis: «Serve un comitato organizzativo, oppure non si va da nessuna parte»

L’occasione è eccezionale e le istituzioni non devono lasciarsela scappare come in altri casi del passato recente: l’opportunità di aggiudicarsi il riconoscimento ministeriale di “Capitale della cultura”, che si tradurrebbe tra l’altro nel finanziamento di un milione di euro, rischia invece di scontrarsi con la scarsa capacità di guardare Como nell’insieme, e di coordinare le tante realtà pubbliche e private che producono cultura in vari ambiti.

Secondo alcuni dei sottoscrittori del manifesto dell’iniziativa, presentato l’altra sera in biblioteca, esiste il rischio di scivolare in un “nulla-di-fatto” se gli esponenti istituzionali del territorio non dimostreranno reale coesione. Paolo De Santis, imprenditore già presidente della Camera di commercio, è stato tra i primi firmatari e tra i primi a lanciare un monito: il privato è importante ma non sufficiente, senza un modello organizzativo preciso e una guida coordinata degli enti pubblici «non si va da nessuna parte».

Perché se nessuno o quasi mette in dubbio le potenzialità del patrimonio culturale di Como, molti sono scettici sulla capacità dei comaschi di farlo funzionare in rete per davvero e di proporlo all’esterno.

«Non vorrei passasse il concetto - ha chiarito De Santis - che siccome molte associazioni e tante persone fanno proposte culturali sia sufficiente mettere insieme i pezzi per presentare Como. Ci vuole invece una grande capacità di indirizzo del pubblico e per darlo bisogna pensare a un comitato organizzativo. Chiamiamolo come vogliamo, usiamo un’evoluzione di quello che già c’è, ma non ci si può proporre come “Capitale della cultura” senza un coordinamento».

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