Condannata per la morte
di cinque pazienti
Sonya, 10 anni dopo
ha ritrovato la vita

Accusata di iniettare aria nelle arterie dei pazienti l’infermiera fu arrestata nel dicembre del 2004 a Tavernerio. In cella a Bollate, tornerà libera tra due anni. Su La Provincia di domenica 13 dicembre una pagina speciale dedicata alla vicenda

«Aiutare gli altri solo per sentirsi meglio di quello che si è». La frase è tratta da “Veronika vuole morire”, romanzo dello scrittore brasiliano Paulo Coelho, una delle decine di libri dedicati alla morte che il 14 dicembre del 2004 i carabinieri trovarono nella casa di Tavernerio di Sonya Caleffi, poco prima che questa ex ragazza comasca di 34 anni confessasse l’inconfessabile. Oggi, a dieci anni di distanza dal suo arresto e a meno di tre dalla sua definitiva scarcerazione, Sonya vive e lavora nel carcere di Bollate, seguita e assistita da uno psichiatra che, dice il suo avvocato, l’ha accompagnata per mano fin sulle soglie di una nuova vita, lontana anni luce da quel piccolo appartamento sporco e disordinato, colmo di abiti, stoviglie, gatti e lettiere, trattati sul sonno eterno e sulla anoressia, elenchi numerati di pazienti e prognosi (qualcuno ricorderà l’«ella fu» scritto accanto al numero di posto letto di un’anziana) e di ombre, di vuoti, dolore.

Accusata di avere inoculato aria nelle arterie di cinque persone e di averle uccise («perché volevo che intervenissero altri medici che avessero bisogno di una infermiera che passasse i farmaci giusti»), l’ex infermiera del Manzoni di Lecco e del Sant’Anna di Como fu definitivamente condannata nel 2006 a vent’anni di carcere , un debito che tra buona condotta e liberazione anticipata si estinguerà nel 2016, quando i suoi anni saranno 46.

Su La Provincia di domenica 13 dicembre una pagina speciale dedicata alla vicenda

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