I comaschi nel caso Pantani
Una perizia li scagiona

Le rivelazioni di Vallanzasca riaprono l’inchiesta. I medici del Sant’Anna analizzarono il campione

Undici anni dopo, dovranno tornare in un’aula di tribunale per riferire come andarono le cose, a Madonna di Campiglio, quella mattina.

La mattina del 5 giugno 1999, vigilia della penultima tappa del Giro d’Italia, una corsa dominata da Marco Pantani.

Tre medici del Sant’Anna, in virtù di una convenzione tra azienda ospedaliera e Unione ciclistica internazionale, quel giorno prelevano e analizzano il sangue dei primi dieci classificati. Il valore di ematocrito di Pantani supera il limite consentito e il campione romagnolo viene escluso dal Giro. Subito iniziano i sospetti, i veleni, si parla di un complotto e di un test falsato per incastrare il campione di Cesenatico. I medici comaschi finiscono sotto indagine, ne escono a testa alta: una perizia conferma il risultato dell’analisi e il test del Dna prova che il sangue era quello del Pirata.

Evidentemente non basta, se il procuratore di Forlì Sergio Sottani ha appena aperto una nuova inchiesta ipotizzando un’alterazione del campione. L’indagine nasce da un esposto della madre di Pantani, Tonina, che ha parlato di minacce rivolte a persone dell’entourage di Marco: “inviti” a non raccontare nulla sui fatti di Madonna di Campiglio, soprattutto a non tirare in ballo l’ipotesi delle scommesse clandestine.

Poi ci sono le rivelazioni di Renato Vallanzasca, il bandito della Comasina, che - dopo averlo scritto in una lettera alla signora Tonina e in un libro - oggi ribadisce di aver ricevuto da un detenuto, nel carcere di Opera, l’invito a scommettere proprio sul vincitore del Giro del ’99. Mancavano pochi giorni al termine e Pantani dominava, eppure quell’uomo - esperto del settore - suggeriva a “Renatino” di puntare su un altro. Di sicuro, disse, non vincerà Pantani.

La malavita, insomma, potrebbe aver fermato il Pirata per non dover pagare cifre altissime (c’era un numero impressionante di giocate sulla vittoria di Marco) e, al contrario, far soldi. Vallanzasca ne parlò già al pm del primo processo, a Trento, ma senza rivelare il nome del collega di cella (ora pare sia stato individuato) e non venne ritenuto attendibile. Eugenio Sala, Michelarcangelo Partenope e Mario Spinelli sono i tre esperti del Sant’Anna che effettuarono i controlli il 5 giugno e verranno ascoltati di nuovo. Lo definiscono «un incubo», speravano che le loro parole - e le perizie - avessero già chiarito tutto.

Ecco il loro racconto. Poco dopo le 7 di quella mattina bussano alla stanza 27 dell’hotel Touring e dicono a Pantani di prepararsi per il prelievo (non un test antidoping, ma «a tutela della salute»). Il Pirata impiega diverso tempo prima di presentarsi, poi entra nella stanza di fronte alla sua, scelta per i prelievi. Il dottor Partenope estrae il campione di sangue e Pantani non dice una parola, fa solo un gesto per indicare che non vuole il laccio emostatico al braccio. Partenope consegna la provetta al collega Sala, lui appone l’etichetta con il codice. «Lo stesso numero - ha spiegato in aula Partenope - presente sul modulo che viene poi tenuto dall’ispettore medico Antonio Coccioni. A Pantani si mostra la corrispondenza del numero sulla provetta con quello riportato sul modello». Tutto secondo le regole. Ecco perché i medici comaschi scuotono la testa quando sentono parlare di una provetta scambiata, o surriscaldata perché portata via in tasca. «Usammo l’apposita borsa».

Sala e Partenope quel giorno sono felici, per loro è una festa, dopo il prelievo chiedono persino a Pantani un autografo. In albergo analizzano la fiala con l’apparecchio previsto dall’Uci, al pari di quelle degli altri corridori. Ci sono 4 testimoni, il test viene ripetuto due volte. E due volte ancora, davanti al medico e al direttore sportivo di Pantani: stesso risultato, valore di ematocrito fuori norma. Il Pirata spacca una vetrata con un pugno e grida: «Mi hanno incastrato».

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