«La mia vita per i profughi
Quante bugie su di loro»

Regole, accoglienza, “diarie” e tanti luoghi comuni da sfatare

Luigi Capiaghi, dall’89 in prima linea: «Ai rifugiati 2,5 euro al giorno»

Non è soltanto questione di tetti o di strutture di accoglienza, o ancora del costo di un piatto di spaghetti, in una terra zeppa di nonni convinti che dove si mangia in due si mangi anche in tre.

Il problema vero, rispetto al tema della cosiddetta “emergenza profughi”, è quello del lavoro. Lo dice Luigi Capiaghi, responsabile della cooperativa Intesa sociale, non l’ultimo arrivato: si occupa di accoglienza dai tempi dell’immigrazione libanese del 1989 e oggi sovrintende a una struttura che occupa 13 dipendenti, ivi compresi un pedagogista, un assistente sociale, un dirigente di comunità, un coordinatore, una psicologa e una mediatrice linguistico culturale.

È, Capiaghi, il titolare di un bando assegnato dalla prefettura per la gestione degli stranieri. «Una volta che i profughi si siano visti riconoscere lo status di rifugiato politico (con tempi di attesa molto lunghi, e basti pensare che alcuni degli “ospiti” sono stati convocati a Milano, dove ha sede l’apposita commissione territoriale, per il mese di luglio del 2016), allora non possono più essere assistiti da noi. E finiscono in mezzo a una strada».

I luoghi comuni, sul tema, si sprecano. Capiaghi aiuta a sfatarne qualcuno: «Noi, come cooperativa, percepiamo dal ministero dell’Interno 33,5 euro al giorno per ciascuno dei nostri profughi, che oggi sono 114. I soldi ci servono per pagare le spese e gli affitti dei 17 appartamenti che gestiamo sul territorio della provincia, cui se ne aggiungono altri cinque nei quali ospitiamo i ragazzini che diventano maggiorenni. Sono spese importanti: affitti, luce, acqua, gas, medicinali, vestiti». Nelle tasche dei singoli assistiti vanno 2,50 euro al giorno.

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