Tutto si concentra
sulla prova del Dna

Il pm Letizia Ruggeri punta sulla prova principe: il profilo genetico del muratore corrisponde con Ignoto 1.

Basta chiacchiere, da oggi si fa sul serio. Il processo (quello vero) a Massimo Bossetti comincia questa mattina alle 9 in Tribunale, a Bergamo. Il muratore di Mapello accusato di essere l’autore del delitto di Yara Gambirasio comparirà davanti alla Corte d’Assise presieduta dal giudice Antonella Bertoja (a latere Ilaria Sanesi e sei giudici popolari) e in palio non ci sarà la vittoria nella battaglia per lo share televisivo, ma l’assoluzione o l’ergastolo.

Il dna sugli slip di Yara

Il profilo genetico di Massimo Bossetti corrisponde per 21 marcatori (tanti: ne basterebbero 17) e per altri 17 del solo cromosoma Y (quello maschile) al dna denominato «Ignoto 1» e scoperto sugli slip e sui leggings della vittima, isolato nei pressi del punto dove le mutandine sono risultate recise da una lama affilata. Non conta l’obiezione della difesa («non è stato trovato il dna mitocondriale di Bossetti») perché è solo il dna nucleare che si utilizza per l’identificazione in ambito forense.

Le telecamere e il furgone

I carabinieri del Ros di Brescia e i Ris di Parma hanno analizzato i filmati di quattro telecamere (il distributore Shell davanti al centro sportivo, la Banca di credito cooperativo di via Rampinelli e due aziende in via Caduti dell’Areonautica di Brembate Sopra) che il 26 novembre 2010 avrebbero ripreso il furgone di Bossetti per ben 13 volte aggirarsi attorno alla palestra di Brembate Sopra nella fascia oraria del la scomparsa di Yara, fra le 17,42 e le 18,47, più una volta alle 19,51, dopo il delitto. Gli inquirenti sono certi che si tratti del Daily cassonato del muratore, perché hanno condotto le analisi in collaborazione con i tecnici Iveco, analizzando 4.450 furgoni.

Le celle telefoniche

Anche i tabulati collocano Bossetti nella zona di Brembate Sopra. Il suo telefono alle 17,45 agganciava la cella di Mapello, via Natta, quando il muratore ebbe una conversazione di 20 secondo con suo cognato Osvaldo Mazzoleni. Il ripetitore serve la zona di Mapello ma anche quella di Brembate Sopra, tant’è che è lo stesso agganciato dal telefonino di Yara alle 18,49, quando la ragazzina è da poco uscita dal centro sportivo. L’indagato e la vittima, dunque, si trovavano nello stesso ambito territoriale.

Le fibre dei sedili

I Ris hanno scoperto sui vestiti di Yara fibre in tutto e per tutto corrispondenti (cromaticamente, morfologicamente e merceologicamente) a quelle di cui sono fatti i sedili del furgone di Bossetti: segno che vi è salita, per l’accusa.

Le ricerche hard sui computer

Nei computer (un fisso e un portatile) della famiglia Bossetti i consulenti del pm hanno trovato tracce di navigazione in siti porno ma, soprattutto, ricerche contenenti la parola «tredicenni» accostata a dettagli hard. Per gli inquirenti è segno che il muratore nutriva un interesse morboso verso le ragazzine della stessa età di Yara.

La calce nei bronchi

Nell’alveo bronchiale di Yara, oltre che sui suoi vestiti, l’équipe della professoressa Cristina Cattaneo, che ha eseguito l’esame autoptico, ha riscontrato polveri di calce che rimandano al mondo dell’edilizia. Proprio quello di cui anche Massimo Bossetti faceva parte.

La testimone di Trescore

Fra le 130 persone che l’accusa intende citare come testi a processo c’è anche Alma Azzolin, la donna di Trescore Balneario che ha riferito agli inquirenti di aver visto, nell’estate precedente al delitto, Massimo Bossetti in auto nel parcheggio del cimitero di fronte alla palestra di Brembate Sopra, in compagnia di una ragazzina somigliante a Yara. La Procura intenderà sostenere che vittima e presunto assassino si conoscevano prima del delitto? Oppure semplicemente ribadire in linea generale il presunto interesse di Bossetti per le ragazzine?

Le presunte bugie di Bossetti

Infine le presunte menzogne. Il pm intende interrogare in aula i colleghi di lavoro di Bossetti, quelli a cui lui era arrivato a dire di avere un tumore pur di non presentarsi in cantiere. I colleghi lo avevano soprannominato «Il Favola». Per l’accusa Massimo mente anche quando dice di essere innocente.

Vittorio Attanà

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