Yara: difesa attacca sul Dna
«Anche i Ris avevano dubbi»

Si riapre a colpi di perizie la battaglia legale tra accusa e difesa sul caso di Yara. I legali di Massimo Bossetti rilanciano le loro carte: «Anche i Ris avevano dubbi sul Dna»

Per la prima volta i difensori di Massimo Bossetti attaccano nero su bianco la “pistola fumante” dell’accusa: quel Dna trovato sui leggins della ragazza

attribuito a Bossetti. L’istanza è stata respinta dal gip di Bergamo, ma gli argomenti saranno riproposti con tutta probabilità in settimana ai giudici del Tribunale del Riesame di Brescia. E l’istanza rilancia un particolare, ovvero quanto il Ris scrisse nella relazione su quella traccia ematica: “Una logica prettamente scientifica, che tenga conto dei non pochi parametri che si è tentato di sviscerare in questa sede, non consente di diagnosticare in maniera inequivoca le tracce lasciate da ignoto 1 sui vestiti di Yara”.

I legali riportano anche quella parte della relazione in cui è scritto che “pare quantomeno discutibile come ad una eventuale degradazione proteica della traccia non sia corrisposta una analoga degradazione del Dna”, a fronte di una traccia che il gip definisce “ottima”. Questo per sottolineare come per la difesa, il Dna “non sia un elemento così scevro da dubbi, tanto da essere individuato sempre dai medesimi Ris come ’quantomeno discutibile’”. Traccia “ottima”, ma sono gli stessi carabinieri della scienza a stupirsi di come non si sia potuta degradare.

Nell’istanza sono contestati anche i risultati delle analisi delle celle telefoniche. L’accusa, spiegano i legali, indica come “indizio di rilievo” il fatto che il 26 novembre 2010 i cellulari di vittima e indagato abbiano agganciato la cella di Mapello, dove vive il muratore, “identificata come ultima cella di aggancio dell’utenza di Yara”. In un documento “riservato” di Vodafone S.p.a., del 25 gennaio 2011, allegato alla richiesta di scarcerazione, invece, “è emerso che l’ultimo aggancio dell’utenza della vittima non deve intendersi quella di Mapello, bensì quella di Brembate”, dove Yara abitava e dove si trova la palestra dalla quale scomparve per essere trovata morta tre mesi dopo nel campo di Chignolo d’Isola. “Attraverso l’analisi delle celle telefoniche - scrivono i legali - come sappiamo, è possibile conoscere (con sensibile approssimazione) la posizione

di un cellulare con precisione massima pari al raggio della cella stessa”. Tradotto: “Non abbiamo informazioni che consentano di stabilire dove i cellulari fossero al momento del traffico telefonico con una precisione superiore al raggio di copertura della cella”. Anzi, “non è neppure possibile stabilire se i cellulari fossero all’interno di una o dell’altra zona di copertura delle celle”.

Ultimo aspetto, le tracce di calce nei polmoni di Yara e che fanno ipotizzare all’accusa che l’assassino sia un muratore, come Bossetti. I difensori scrivono che “non può non notare come l’indicata parte dell’apparato respiratorio, analizzata nella perizia Cattaneo, non evidenzi alcuna presenza di “polveri

riconducibili a calce”. “Ciò - concludono i difensori - in evidente insanabile contrasto con quanto indicato nell’ordinanza di custodia cautelare ove si assume l’elemento in questione (calce nell’alveo bronchiale) quale importante indizio di colpevolezza”.

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