Lévinas torna a parlarci
Lezioni inedite di speranza

Pubblicati in Italia, da Bompiani, i Quaderni e gli Scritti dalla prigionia del celebre filosofo francese, ma di origine lituana, teorico del rispetto e del dialogo. A Parigi abbiamo incontrato uno dei curatori, che spiega l'importanza di quest'opera frammentata, alla luce della crisi contemporanea.

di Carla Di Martino

In libreria per Bompiani per la prima volta in italiano "I Quaderni di Prigionia e altri inediti" di Emmanuel Lévinas (1905-1995), filosofo ebreo francese di origine lituana che fu una delle voci principali del mondo intellettuale francese del dopoguerra e testimone dei principali eventi del nostro secolo: la rivoluzione russa, l'hitlerismo, l'olocausto.
Durante l'invasione tedesca della Francia, dal 1940 e fino alla fine della guerra, Lévinas venne internato in un campo di lavoro in Germania. "I Quaderni e altri Inediti" sono la trascrizione dei sette quaderni di note di questi anni. Rodolph Calin, curatore insieme a C. Chalier dell'edizione critica, pubblicata in Francia nel 2009, ci introduce alla lettura di quest'opera, una tappa nella comprensione del pensiero di un filosofo che ha attraversato un secolo di storia europea.

Professor Calin, cosa scopre in questi scritti un lettore esperto che conosca l'opera "ufficiale" del filosofo, e cosa il principiante al primo approccio col suo pensiero?

Nei "Quaderni" si trovano in realtà la maggior parte delle grandi tematiche del pensiero maturo di Lévinas, alcune illuminate di una luce nuova. Il tema della prigionia garantisce ai "Quaderni", opera letteraria e filosofica contemporaneamente, una sua unità, perché è una condizione che Lévinas fa allo stesso tempo argomento romanzesco e oggetto di meditazione filosofica. Inoltre, si tratta di un argomento nuovo, che arricchisce l'opera già pubblicata del filosofo, nella quale questo tema compare raramente. Credo che i Quaderni possano dunque interessare sia il lettore esperto, che vi troverà un aspetto nuovo del pensiero di Lévinas, sia il lettore principiante, che vi troverà una via d'accesso all'opera del filosofo.

Il Lévinas dei Quaderni esita fra vocazione letteraria e filosofica?

Non parlerei di esitazione: la vocazione filosofica di Lévinas é già chiaramente affermata nei suoi scritti dell'anteguerra. Tuttavia, la sua prosa filosofica, che preferisce la concatenazione di situazioni concrete al susseguirsi di concetti, è molto vicina alla scrittura letteraria. Non ci stupisce dunque che si sia cimentato nella scrittura di un romanzo (esperienza cui anche l'esempio di Sartre l'invitava). Lo stato di prigionia è a questo proposito esemplare: da una parte, il tema della prigionia fa eco alla nozione filosofica di "mondo a pezzi", che sarà sviluppata nel 1947 in "Dell'esistenza all'esistente" (Marietti, Genova 1986, ndr). Dall'altra, è il soggetto di un romanzo, poi incompiuto, che prende forma già nei "Quaderni", dunque all'inizio degli anni 40, col titolo di Triste Opulenza, e la cui redazione andrà avanti fino all'inizio degli anni '60, sotto il titolo di "Eros".

Grazie alla sua condizione di militare francese l'ebreo Lévinas scampa allo sterminio. Come questa esperienza particolare della guerra ha deciso della sua identità? "I Quaderni" poi ci rivelano pienamente un sostrato intellettuale francese. Allora Lévinas intellettuale francese o filosofo ebraico?

Prima di tutto, Lévinas è filosofo tedesco quanto francese, in quanto fenomenologo, erede di Husserl e Heidegger (il cui pensiero per primo introdusse in Francia, ndr). Certo la tradizione ebraica alimenta la sua filosofia quanto la fenomenologia. Questo fa di lui un intellettuale ebraico? In un'intervista della maturità, Lévinas spiega a proposito del concetto di "elezione" che essa riguarda l'io in quanto io e non il soggetto in quanto ebreo. Tuttavia, all'epoca dei Quaderni - e questo è un aspetto molto importante - Lévinas vuol fare dell'essere-ebreo - nozione inseparabile dalle prove dell'hitlerismo e della prigionia - una categoria filosofica, il punto di partenza della sua filosofia. Un punto questo che richiede una profonda riflessione.

Lévinas scrive che la vita nei campi di concentramento mette in luce la «relatività della maggior parte dei valori di pace - solo gli imbecilli continuano a rispettare i valori di pace: proprietà, salute, rispetto», e in questo capovolgimento dei valori invita a «scoprire una morale assoluta». Un messaggio per la nostra società contemporanea in cerca di nuovi punti di riferimento?

Qui il nocciolo dell'esperienza etica di Lévinas per il quale la morale non è un impegno a rispettare certi determinati valori, che non resistono in tempo di guerra, ma un impegno al rispetto dell'altro. Questo "altro" - conclude Rodolph Calin - è al di là della guerra, perché la relazione con "l'altro" non si costruisce sul piano della lotta, ma su quello della pace. Dove la pace va intesa non come il risultato di una guerra: la pace precede la guerra.

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