Franca Rame, piccola star
sul palco del Ventennio

L'attrice, moglie del Nobel Dario Fo, a dieci anni recitava già con i genitori. La compagnia portava in scena testi edificanti ed era di casa nel Comasco

Nell’Italia in camicia nera, una bimba di dieci anni esordiva sulla scena teatrale calcando i territori del Comasco e del Varesotto. Quella piccola si chiamava Franca Rame ed era nata nel 1929 in una famiglia di artisti itineranti. Il padre Domenico era un attore da generazioni e la madre Emilia Baldini fu prima maestra e poi attrice. Le antiche tradizioni teatrali dei Rame, maggiormente legate alle rappresentazioni dei burattini e delle marionette, risalivano addirittura al Seicento. Così la moglie del Premio Nobel Dario Fo debuttò nel mondo dello spettacolo appena nata: fu subito impiegata, infatti, per i ruoli da infante nelle commedie allestite dalla compagnia di giro familiare. I Rame erano finanziati dal regime e svolgevano una funzione di "teatro educativo", direttamente sotto l’egida del Minculpop, il ministero della Cultura popolare.

Drammi strappalacrime

La ricostruzione di questa pagina biografica poco nota dell’attrice italiana si deve a un anziano studioso comasco, Giuseppe Turconi, sommozzatore di archivi ma soprattutto memoria storica d’infallibile precisione. Dall’alto delle sue 86 primavere, Turconi infatti rievoca la ricca anedottica riguardante la talentuosa figlia d’arte. I Rame, prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, erano di casa nel Comasco. Di solito, venivano a stabilirsi a Villaguardia, nella cintura comasca, all’asilo di Maccio, o a Civello, in un teatro da loro stessi allestito all’aperto. Ricorda il ricercatore lariano: «Rimanevano di solito quattro-cinque o sei mesi. Mettevano in scena quei drammoni di una volta: gli spazzacamini della Val d’Aosta, la passione di Cristo, il conte di Montecristo, Santa Genoveffa, i Promessi Sposi». Alcune rarissime locandine documentano l’intensa attività svolta da questi promotori del teatro popolare nella zona delle Prealpi comasche e varesine. Un manifestino color verde pubblicizza, ad esempio, la rappresentazione di Genoveffa di Brabante, la martire del bosco, al salone dell’asilo di Casnate, domenica 16 aprile 1939, alle 15 e un quarto. Di poco precedente, il 29 marzo, sempre a Casnate, la messa in scena del "capolavoro drammatico" La collana della morta o Amore e Dovere, seguita dalla comica I tre gobbi.
Il 23 febbraio del ’39, era stata la volta dello spettacolo La colpa di una madre o il medico dei poveri. Questa la trama del dramma strappalacrime riportata nel manifesto murale: «Pietosa storia, ove le passioni trascinano una madre ad abbandonare lo sposo e la figlioletta». Il finale è ovviamente edificante: «La voce di Dio riconduce la sciagurata, sul sentiero del dovere, pentita e redenta spira compensata col perdono dello sposo (nobile figura di medico e di scenziato [sic!]) e dal bacio della propria creatura».
 
Due lire per lo spettacolo

Nell’occasione si annunciava che «la piccola attrice Franca Rame sosterrà una delle principali parti». Alla stagione precedente, quella del 1938, risaliva invece la rappresentazione, a Castellanza, dell’opera storica Il cardinale, ambientata nella Roma di papa Giulio III. Il teatro viaggiante, in quell’occasione, festeggiava la nomina a cavaliere di Domenico Rame, padre di Franca. Il reggimento dei Fanti d’Italia di Fino Mornasco, come recita un’altra locandina d’epoca, patrocinò invece lo spettacolo in quattro atti Il padrone delle ferriere. Il manifestino ci informa dei prezzi dei biglietti, particolarmente modici: due lire i primi posti, una lira i secondi. Nella stessa occasione, viene annunciato che è in preparazione un nuovo dramma, La Passione del Signore. Giuseppe Turconi assisté a quello spettacolo e ne racconta il finale, che tradisce evidentemente la matrice «Minculpop» dell’attività dei Rame: «La recita terminava con la battuta della famosa invocazione dell’"Elì, elì, lemà sabactani?" e con il Cristo che spirava. L’attore che impersonava Gesù era il papà di Franca, il cavalier Rame. Al finale di questa sceneggiata, lo si vide crocifisso, in piedi su una sedia con un drappo posto davanti per nascondere appunto il fatto che fosse sopra una sedia, le braccia aperte legate alla croce».

Comparve il fascio littorio

«Disse: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» e reclinò il capo. In quel momento, ai due estremi orizzontali della croce, in corrispondenza delle mani, si accesero delle lucine bianche rosse e verdi, mentre in alto, sopra l’iscrizione "INRI", apparve un fascio littorio tutto illuminato, bianco rosso e verde. Tutto il teatro, io compreso che assistevo, venne giù dalla risate». A parte il dettaglio tra il grottesco e il surreale, Turconi conserva nitidi ricordi della famiglia Rame, un clan molto devoto alla religione cattolica: «Franca Rame, nei periodi in cui la compagnia si fermava a Villaguardia, era mandata a studiare alle elementari di San Carpoforo, dalle suore».

Scolaretta a San Carpoforo

«La mattina, recandomi io stesso a scuola a Como, l’aiutavo a salire sul tram, perché il gradino era troppo alto per lei. I Rame erano molto pii. La domenica li si vedevano allineati, in chiesa, tutti quanti, a ricevere la Comunione". Questo retaggio è stato poi clamorosamente rigettato da Franca Rame, la quale, tempo fa, durante un dibattito televisivo, ha ritenuto di dover imputare alla educazione troppo rigida ricevuta in famiglia la totale impreparazione in materia di "educazione sessuale". Mamma Emilia, infatti, alimentò in lei un senso di tabù, in quella sfera legata alle funzioni del corpo, proibendole ad esempio di nominare le parti intime femminili.
 
Roberto Festorazzi

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