Umberto Eco: <Via dalla scuola Manzoni
E diventerà subito un autore di culto>

Lo scrittore e semiologo premiato a Lecco al concorso letterario intitolato al grande autore
<Ne "Il nome della rosa" gli ho copiato l'artificio dell'antico manoscritto ritrovato>

<Con Alessandro Manzoni mi sono misurato per una vita intera, forse è stato un lento, progressivo avvicinamento per arrivare a vincere questo premio...».
Così Umberto Eco, rigorosamente senza barba, ha esordito al Teatro della Società a Lecco, nel garbato dibattito, seguito alla consegna del Premio alla carriera, avvenuto nel contesto del Premio letterario internazionale Alessandro Manzoni.
Con lui, sul palco, c’erano Matteo Collura, giornalista del Corriere della Sera e presidente della giuria del Premio Manzoni, Paolo Mauri, caporedattore culturale del quotidiano Repubblica, e soprattutto Bruno Gambarotta, il salace presentatore dell’intera serata.
È stato proprio quest’ultimo a proporre la necessità della pubblicazione di un’enciclopedia che raccolga la già monumentale opera di Umberto Eco ed a rilevare come la voce <Manzoni> avrebbe, in quel contesto, uno spazio notevole.

Da parte sua Umberto Eco non si è sottratto alle domande dei suoi interlocutori riuscendo a tracciare una sorta di storia del suo rapporto con Manzoni.
<I Promessi Sposi li ho letti sin da piccolo - ha esordito - ed è stato un libro che mi è piaciuto molto. Così, quando a 48 anni ho scritto "Il nome della rosa", ho fatto riferimento anch’io ad un manoscritto antico. Una chiara invenzione, che strizzava l’occhio proprio al Manzoni. Del resto  anche nell’"Isola del giorno prima" si parla di “dilavati autografi”, a conferma che la lezione manzoniana mi è sempre stata presente».
Non sono mancati riferimenti alla contemporaneità ed arditi paralleli tra la descrizione della peste manzoniana e l’attuale crollo delle borse mondiali.
«C’è una sorta di parallelismo tra quello che sta succedendo oggi nell’economia mondiale e la peste che colpisce l’universo manzoniano. C’è innanzitutto una crisi annunciata i cui sintomi i responsabili trascurano colpevolmente; c’è l’esplosione del morbo e la conseguente caccia all’untore, ai colpevoli, chiunque essi siano; c’è infine la pubblica follia, quando la ragione viene meno e prevale il terrore».
Insomma, per Eco c’è in Manzoni una potente genialità; questo fa sì che il suo romanzo sia ancora di una spaventosa attualità.
«In un periodo in cui i contemporanei di Don Lisander scrivevano romanzoni piuttosto noiosi, pensiamo al Guerrazzi o al Cantù, lui ha l’idea di scrivere sulla sua Italia pur ambientando la storia nel Seicento. Con coraggio, si mette dalla parte dei poveri e smaschera il gioco dei potenti e dei loro tirapiedi come l’Azzeccagarbugli. Lo fa con una pacatezza incredibile, ma il suo romanzo è rivoluzionario». 
Eppure Manzoni non era nella vita un uomo facile. Eco ne ha fatto un ritratto singolare, ricordando le sue nevrosi, i suoi problemi familiari, le sue vicissitudini con gli editori.

<Manzoni aveva un pessimo carattere, era un personaggio difficile, eppure i numerosi problemi familiari non sembrano influire sulla sua genialità di scrittore. Pubblica così un romanzo popolare e colto allo stesso tempo, che sarà la manna della pirateria editoriale del tempo. Il povero Manzoni non solo non guadagnerà nulla, ma anzi ci rimetterà 70.000 lire. Per fortuna era ricco di suo».
Non poteva mancare, infine, un riferimento al rapporto tra Manzoni e la scuola. Oggi bisogna ancora leggere il Manzoni? Eco su questo ha preferito affidarsi all’ironia.
«Tutto dipende dagli insegnanti; loro possono far odiare o amare qualunque cosa. Al liceo io ho avuto uno straordinario docente di filosofia ed infatti, poi, mi sono iscritto a quella facoltà. Di lettere ho avuto tre diversi insegnanti: uno era molto bravo, gli altri due invece valevano poco. Ricordo che il terzo anno studiavo come un matto la letteratura ed in particolare quella straniera, solo per il gusto di fare domande a cui il professore non avrebbe saputo rispondere. Era un gioco di raffinata cattiveria, che mi permise di leggere molto. Anzi con i Promessi Sposi potremmo fare lo stesso. La scuola dovrebbe ignorarlo, anzi proibirlo, così finirà per diventare un libro desiderato e la voglia di leggerlo si moltiplicherà. È un consiglio che mi sento di dare all’attuale ministro Gelmini».
In conclusione va detto che l’idea della giuria del Premio Manzoni di assegnare il premio alla carriera ad Umberto Eco è stata indovinatissima. Era da anni che di Alessandro Manzoni non si parlava così tanto ed il merito è stato proprio di questo ex barbuto intellettuale, che a Lecco ha anche dimostrato di non prendersi troppo sul serio.

Gianfranco Colombo

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