I gesti? "Parlano"
Uno studio comasco

Angela Bartolo, canturina, oggi ricercatrice e insegnante all'Università di Lille in Francia, è uno dei cervelli più brillanti delle neuro scienze. L'abbiamo incontrata e intervistata

di Carla Di Martino

La gestualità e il valore biologico e sociale della comunicazione: questi i grandi temi di Angela Bartolo, canturina d’origine, giovane ricercatrice e insegnante appassionata all’università di Lille, in Francia. Dopo gli studi superiori a Cantù e la laurea in Psicologia a Padova, la Bartolo si è formata nelle maggiori università europee (dottorato in neuroscienze in Scozia e Germania, post-dottorati in Canada, Italia, Francia). Collabora con la Goldsmiths’ University di Londra, il Department of Psychology di Edinburgo e di Birmingham, la York University di Toronto, il centro Espace et Action di Lione.

Professoressa Bartolo, i suoi studi più recenti portano sulla gestualità. E vero che si può "parlare con i gesti"?

Certo. Il gesto è una forma di comunicazione importantissima. Il corpo intero è una grande macchina per comunicare. Scuotiamo la testa per dire "no”, sgraniamo gli occhi per la sorpresa, corrughiamo le sopracciglia in segno di dissenso, deformiamo la bocca disgustati, solleviamo le spalle per disinteresse, muoviamo la mano per salutare. Per alcuni persino il linguaggio verbale è il risultato di gesti della gola... Io studio soprattutto i gesti della mano, gesti di comunicazione o per usare oggetti. Per capire meglio il comportamento di un soggetto sano, come spesso in neuroscienze, studio soggetti malati, pazienti che in seguito a una lesione cerebrale hanno difficoltà non solo ad eseguire, ma a riconoscere gesti, e come questo interferisce con la loro vita quotidiana.

Da bravi italiani, all’estero per spiegarci ci aiutiamo con le mani, non senza belle sorprese... Esiste un codice gestuale universale, che possa aiutare il turista come il professionista che viaggia per il mondo?

In generale, i gesti iconici o descrittivi (forma e dimensioni di un oggetto: tondo, piccolo, grosso) e comunicativi (vieni qui, alzati) nei paesi occidentali conservano lo stesso significato. Tuttavia, proprio come nel linguaggio, anche fra i gesti ci sono "falsi amici", e uno stesso gesto può avere significati diversi in paesi diversi. Il gesto "zero", l’ok americano, in Brasile significa "No" – Nixon ci è cascato! – e in Giappone significa "soldi", allora attenzione... Il gesto che in italiano significa "cosa vuoi?" poi in Egitto significa "stai calmo", e in Grecia "perfetto". Puntare l’indice per indicare un oggetto è molto malvisto in Oriente, dove si usa il pollice. Altri gesti esistono solo in un paese: far scorrere il dorso delle dita sotto il mento per "non mi interessa" è solo italiano; far passare il dorso delle dita sulla guancia per "che noia" è solo francese.

So che sta seguendo alcuni bambini autistici. Cosa ci insegna lo studio di soggetti che hanno difficoltà di comunicazione?

I bambini autistici non integrano i gesti nel discorso verbale: esempio tipico le braccia inerti lungo il corpo o dietro la schiena durante la conversazione. Questo rende ancora più evidente la valenza espressiva dei gesti, che nella vita quotidiana accompagnano e talvolta sostituiscono il linguaggio. Un altro esempio: i bambini autistici hanno difficoltà a leggere gli stati mentali altrui, e quindi a inferire il comportamento o le emozioni degli altri. E infatti hanno più difficoltà a riconoscere e a produrre spontaneamente i gesti che indicano lo stato di un individuo e i gesti comunicativi: interessante per studiare la relazione fra linguaggio corporale e verbale.

Cosa significa studiare neuroscienze oggi?

Studiare neuroscienze cognitive significa scoprire i segreti del cervello umano. Progetto pretenzioso... che si serve di differenti metodi, come la risonanza magnetica funzionale o la stimolazione transcranica, per capire a quale parte del cervello corrisponde una data funzione cognitiva. Oggi le tecniche si moltiplicano e di conseguenza anche le figure professionali competenti: psicologi per la creazione dei protocolli di indagine, medici neurologi per la valutazione delle neuro-immagini o dei tracciati, fisici sanitari e gli ingegneri per la strumentazione. Oggi lavorare nell’ambito delle neuroscienze significa lavorare in équipe.

Comunicazione e gestualità, che lei studia da scienziata, hanno grande rilevanza antropologica e sociale. Ci sono ricerche in questo senso?

Ci sono studi sull’empatia, la capacità di comprendere le intenzioni altrui, e sembra lecito pensare che queste funzioni siano rintracciabili nel cervello, anche se per ora non vi é accordo sulle aree cerebrali coinvolte. Ma studiare queste funzioni è rischioso: cerchiamo di non tornare alla frenologia, che nel XIX secolo pensava di poter localizzare nel cervello il senso poetico o la gentilezza o l’ostinazione.

Quando lei parla di queste esperienze, penso al neurologo Oliver Sacks o a Borges..

Sacks conosce bene i suoi pazienti e ha il dono di saperli raccontare. Bello anche il film di Marshall del 1990, dal suo <+G_CORSIVO>Risvegli<+G_TONDO>. Funes nel racconto di Borges non può dimenticare, ma nella realtà é più facile che per un danno cerebrale non si riesca a ricordare o a imparare più nulla. Due bei film sull’argomento: <+G_CORSIVO>Memento<+G_TONDO> di Nolan del 2000, o, più leggero, <+G_CORSIVO>50 volte il primo bacio<+G_TONDO> di Segal del 2004. Per i personaggi, addormentarsi significa dimenticare e ricominciare ogni giorno tutto da capo. Provate un po’ a immaginare...

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