Le monache femministe
raccontate da Maria Tatsos

L’articolo che pubblichiamo in questa pagina è estratto dal numero di ottobre del mensile italo-ticinese «Genio donna», per gentile concessione della redazione. Per saperne di più sul monastero tibetano di cui si parla, si può consultare il sito: www.tenzinpalmo.com.

di Maria Tatsos

Anni fa, una monaca buddhista di scuola tibetana drukpa kagyu
 ha chiesto udienza al Dalai Lama. Gli ha raccontato dell’impegno e dell’abnegazione delle novizie e delle monache. Gli ha descritto il loro desiderio di studiare i sacri testi e di crescere spiritualmente. E gli ha esposto le infinite difficoltà incontrate dalle religiose, nell’ambito di una tradizione che non prevede l’opportunità di apprendimento superiore per le donne. Alla fine, il Dalai Lama ha pianto. Questa monaca eccezionale si chiama Tenzin Palmo. È la fondatrice del monastero femminile di Dongyu Gatsal Ling, nella regione montuosa dell’Himachal Pradesh, in India. Un’area che confina con il Tibet e che ospita molti rifugiati, incluso lo stesso Dalai Lama, che vive a Dharamsala. La storia personale di Tenzin Palmo
nella foto tonda), che è una delle pochissime donne a essere state insignita del titolo di Jetsunma (maestro venerabile), si intreccia con la lotta pacifica delle religiose buddhiste per il diritto allo studio. L’abbiamo incontrata a Milano, una delle tappe del suo giro europeo per far conoscere l’attività del monastero e trovare sostenitori. Due occhi azzurri vivaci tradiscono le sue origini occidentali: Tenzin è nata a Londra e una volta si chiamava Diane.

Come si è avvicinata al Buddhismo?
«Ho sempre cercato una guida spirituale. A 18 anni, ho letto un testo sacro buddhista e ho capito che quella era la mia strada. Volevo dedicarmi al Buddhismo, senza essere distratta dal matrimonio o da altri obblighi e a 20 anni sono venuta in India. Ho incontrato il lama che è divenuto la mia guida e a 21 anni ho preso i voti». In un primo tempo, negli anni Sessanta, Tenzin Palmo ha vissuto in un piccolo monastero femminile nella valle himalayana di Lahaul, poi si è dedicata per 12 anni - dei quali 3 in isolamento ferreo - alla meditazione, rinchiusa in una grotta. Successivamente, impegnandosi nella diffussione del messaggio buddhista, si è imbattuta nelle problematiche delle monache.
Qual è la situazione delle religiose buddhiste tibetane?
«In Tibet, per tradizione le donne sono molto forti: che siano nomadi o contadine, sono abituate a essere autonome, a gestire attività economiche, a pensare con la loro testa. Eppure, le monache cho ho conosciuto erano sempre timide e prive di autostima. La spiegazione risiede nella visione religiosa: la donna è un essere inferiore. Chi rinasce donna deve aver commesso qualcosa di sbagliato nella vita precedente. Le monache che ho incontrato spesso consideravano gli uomini più intelligenti di loro. In realtà, la chiave di volta di questa situazione era lo studio: le monache non ricevevano la stessa istruzione dei monaci, e il più delle volte erano relegate a ruoli servili: cucinare, accudire i bambini, lavare la biancheria...».
In che cosa si distinguevano le monache?
«Non potendo studiare, molte di loro diventavano delle ottime praticanti. Meditavano nelle condizioni più terribili, dimostrando grande resistenza fisica. Ma non potevano diventare maestre, perché non avendo studiato non disponevano del lessico per esprimere le loro esperienze. Ho conosciuto una giovane monaca, fuggita dalla famiglia che la spingeva al matrimonio. Fu accolta dal suo lama, che la destinò alla cucina. A qualsiasi uomo, sarebbe stato accordata la possibilità di studiare. A lei, no. Le diedi in prestito una biografia di Milarepa: dopo due giorni, in lacrime, mi disse che non riusciva a capirla». Vent’anni fa circa, l’incontro con le religiose occidentali come Tenzin Palmo ha determinato la svolta. «A Dharamsala, c’era una scuola di dialettica buddhista, frequentata da gente proveniente da tutto il mondo. Non era vietata alle donne, ma per tradizione le monache locali non dibattevano: mancavano di istruzione ed erano considerate troppo deboli. Varie monache occidentali, spesso istruite, si iscrissero e incoraggiarono le tibetane a partecipare attivamente». Poco alla volta, i lama hanno iniziato ad apprezzare le monache, spesso più devote e concentrate dei maschi. «Il Dalai Lama una volta mi ha detto: «Il futuro del Dharma (la legge buddista, ndr) è nelle mani delle donne!». Su suggerimento del suo maestro spirituale, nel 2000 Tenzin Palmo ha fondato un convento femminile, dove oggi vivono oltre 50 monache e novizie provenienti dal Tibet, dal Ladakh e da altre regioni himalayane. Finalmente le giovani hanno la possibilità di ricevere un’istruzione completa, meditare, dibattere, imparare il tibetano (e anche l’inglese) suonare gli strumenti musicali tradizionali. E soprattutto poter decidere liberamente, dopo il percorso di studi, se prendere i voti.

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