Accordo fiscale Italia Svizzera
«I politici ticinesi
fanno la voce grossa»

Massimo Mastromarino, presidente dell’Associazione Comuni Italiani di frontiera, frena sulla riforma«Correndo si sbaglia, non c’è fretta»

«La fretta, spesso, rappresenta una cattiva consigliera, specie se di fretta c’è una risorsa troppo importante per le zone di confine (e non solo) come è l’economia transfrontaliera». Il ragionamento di Massimo Mastromarino, presidente dell’Associazione Comuni italiani di frontiera, parte da qui, unita ad una puntualizzazione che suona come un monito a chi siede al tavolo delle trattative per il nuovo accordo fiscale tra Italia e Svizzera: «Difenderò fino in fondo l’accordo del ’74». Già perché la fiscalità dei frontalieri e i ristorni ai Comuni (e realtà di confine) non possono essere (ri)toccate a piacimento.

«Vale il principio enunciato dal senatore Alessandro Alfieri: “Non un euro in meno ai Comuni ed ai territori di confine, non un euro in più ai lavoratori”, purché alle parole ed alle promesse seguano i fatti - fa notare Massimo Mastromarino - per questo non vedo l’urgenza di arrivare in tre mesi ad un accordo che già nel 2015 presentava evidenti criticità». È chiaro che senza ristorni gran parte dei Comuni - in primis quelli più piccoli - non riuscirebbe a chiudere i bilanci. In media vengono (ri)stornati ai Comuni di residenza tra i 900 ed i 1000 euro a frontaliere. «Il meccanismo sin qui ha funzionato e credo che le velleità ticinesi di fare la voce grossa sui ristorni lascino il tempo che trovano. A chi vorrebbe bloccare i ristorni ricordo che nel 2011 il blocco era stato revocato in tutta fretta e ricordo anche che l’accordo è tra Stati, dunque tra Italia e Svizzera - conferma il presidente dell’Associazione Comuni italiani di frontiera -. Non vedo quali argomenti potrebbe avere il Ticino per decidere il da farsi. Mi sembra peraltro che la consultazione di domenica abbia ribadito in modo abbastanza perentorio che l’Europa resta un partner importante per il popolo svizzero. E anche in Ticino non mi sembra che il voto abbia scaldato più di tanto gli animi. Detto questo, l’idea è quella di creare un “fondo strutturale” per le realtà di confine, pensionando l’attuale meccanismo dei ristorni. Se i principi del “fondo strutturale” sono i medesimi dell’attuale meccanismo dei ristorni, allora siamo a favore. Insomma, se i fondi continueranno a confluire verso i territori di confini, il provvedimento o i provvedimenti assunti avranno il nostro beneplacito. In caso contrario, faremo sentire la nostra voce».

L’ultimo assegno staccato dalla Svizzera all’Italia alla voce “ristorni” supera gli 88 milioni di euro. Un bel gruzzoletto. Il ragionamento del presidente dell’Associazione dei Comuni italiani di frontiera tocca anche un altro punto di grande interesse: «A gennaio 2021, con la chiusura del quarto trimestre di questo anno senza eguali per motivi diversi, sapremo l’effettiva ricaduta sull’occupazione di confine - cioè sui frontalieri - dopo i mesi durissimi della pandemia, peraltro ancora in essere. Lì si potrà capire come i rapporti di confine dovranno essere ricalibrati. Per questo dico che sottoscrivere l’accordo in tutta fretta ha poco senso. Già l’intervento in presa diretta di Regione Lombardia e Consiglio di Stato ticinese è avvenuto con tempi e modi sbagliati. Meglio fare le cose bene e con calma».

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