Gli industriali ticinesi:
«Non toccate i frontalieri»

L’associazione delle aziende ticinesi ammonisce i politici: «”Prima i nostri” è un falso mito». «Con la Lia abbiamo aumentato il carico di burocrazia. Accordi bilaterali con l'Unione europea da rispettare»

«Politica, smetti di parlare alla pancia. E basta con il falso mito dei frontalieri». Segno particolare: queste parole sono state pronunciate da uno svizzero, più precisamente dal presidente dell’Aiti Fabio Regazzi all’assemblea generale ordinaria a Mendrisio martedì.

Non le hanno mandate a dire, le imprese ticinesi, a una parte del mondo politico. Era presente il ministro Christian Vitta, che pur ha posizioni diverse rispetto ad altri colleghi. Parole che si uniscono a quelle già spese con forza dagli italiani, a maggior ragione dopo la notizia che secondo uno studio delle Banche romande il Ticino sarebbe la quarta regione europea per crescita del Pil.

L’analisi e i timori

Regazzi si è soffermato sull’analisi del 2016: «È stato un anno difficile per l’industria ticinese. Abbiamo dimostrato di saper fare fronte alla forza del franco e alla debolezza dei nostri mercati di riferimento, ma il prezzo da pagare è stato alto e rischia di minare alle fondamenta la nostra capacità competitiva». Il 2017 dovrebbe migliorare, ha sottolineato Regazzi, ma a un patto: che la Svizzera e le istituzioni collaborino. E che ci sia rispetto per la legalità: come si può anche solo pensare – si è chiesto nella relazione – di disdire gli accordi bilaterali con l’Unione europea? Di qui l’invito degli imprenditori a tornare a usare il buon senso.

«A maggior ragione in un Paese come il nostro, povero di materie prime, che deve fare leva sull’intelligenza e il sapere delle persone, sulla propria grande capacità competitiva, sullo spirito imprenditoriale e l’innovazione tecnologica - osservava Regazzi - viviamo d’esportazione, non possiamo dunque permetterci di sigillare i nostri confini».

I due affondi

Ed ecco i due affondi. Primo sul falso mito dei frontalieri: «Riguardo a un andamento economico che si vuole solo leggere come negativo. Quello di un “primanostrismo” assurto a mantra per giustificare il falso mito che solo con la priorità data agli indigeni risolveremo il problema della disoccupazione».

L’altro sulla Lia, albo antipadroncini: «Dobbiamo constatare che, a parte aver aumentato il carico burocratico alle aziende, essa è oggetto di parecchi ricorsi, fra i quali anche da parte della Commissione della concorrenza perché violerebbe la legge federale sul mercato interno». Di qui l’impegno finale: «Da parte nostra continueremo a combattere con determinazione e coerenza per difendere la libertà economica e imprenditoriale: ne va del nostro sistema-paese, che abbiamo costruito con fatica ottenendo risultati eccellenti e che tutti ci invidiano».

Parole che non sorprendono il mondo economico-sociale comasco, ma fanno sperare in un messaggio recepito alla politica ticinese, osserva Enrico Lironi, che per la Camera di commercio comasca segue i rapporti con la Svizzera: «Le imprese ticinesi sanno bene che la loro produzione a larghi livelli è destinata all’esportazione e un mercato che importa è l’Italia. Noi della Camera di commercio e il tessuto produttivo ticinese siamo vicini su questi temi».

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