Pagare con lo smartphone
Rivoluzione possibile
“Vi racconto Satispay”

Alberto Dalmasso racconta la sua impresa e lo straordinario progetto che ha aperto una nuova frontiera nel campo della moneta elettronica. Due amici, un’idea: la storia della startup che ha raccolto 27milioni di euro.

Non basta una buona idea, ci vuole curiosità, squadra e un “ambiente” favorevole: così crescono le startup secondo Alberto Dalmasso, cofondatore e amministratore delegato di Satispay, la giovane impresa italiana dei pagamenti da conto corrente, di origine cuneese, sede a Milano, aspirazione europea. Dalmasso è stato ospite a Como de Le Primavere de La Provincia. C’è un altro fattore nel successo della dinamica e innovativa impresa ed è lo smartphone, prima che comparisse sulla Terra e che connettesse le persone in tempo reale, nulla di tutto ciò sarebbe mai potuto accadere.

Possiamo dire che le funzioni dello smartphone sono l’elemento vitale, l’acqua in cui ogni impresa innovativa si muove, l’elemento che, in connessione diretta, permette di raggiungere migliaia, milioni di utenti senza mediazione?

Sì, come consumatori ci interrogavamo sulla contraddizione di poter gestire gli appuntamenti di lavoro o le relazioni con gli amici con uno smartphone, ma ancora ci si doveva assicurare del contante e spiccioli in tasca per prendere un caffè. Nell’era delle semplicità, dovevamo fare la coda al bancomat, caricarci di monete, perdere tempo a dividere il conto di una cena. Ne parlo con amici e ci rendiamo conto che sono milioni gli italiani che usano lo smartphone per guardare l’estratto conto, che pagano on line con paypal, eppure per le operazioni più comuni inciampiamo nel dover avere del contante. Tutti se ne lamentano, ma ancora nel 2017 nell’area euro su cento pagamenti fatti nei negozi 79 sono in contanti. Già nel 2012 ci chiedevamo dove fosse i punto, ci siamo risposti che probabilmente stava nell’accettazione degli esercenti che mettevano limiti ai pagamenti con carte di credito sotto i dieci euro.

L’eliminazione dei contanti nei pagamenti è stato l’obiettivo da sempre affidato alle carte di credito, cosa vi ha fatto pensare che fosse possibile costruire una alternativa credibile?

Abbiamo cercato le ragioni per cui le carte ancora sono usate per non più del 15% degli acquisti e sono diverse. In una economia come quella dell’Unione europea non si paga a debito, l’architettura delle carte è sovra strutturata, sono coinvolti molti attori e gli esercenti sono spesso piccoli negozi, come è tipico nella realtà italiana, che si lamentano dei costi di commissione. Certo, è anche un limite culturale, perché in fondo gestire il contate è pericoloso, scomodo, ma così è.

Inoltre dagli Usa vedevamo arrivare applicazioni come Google Wallet che permettono di salvare la carta sul cellulare e abbiamo pensato che se fosse stato possibile usare la carta in un modo diverso, nulla sarebbe cambia e sarebbe stato comunque difficoltoso pagare evitando i contanti sotto i dieci euro. Ci chiedevamo se fosse possibile escogitare un sistema utilizzabile da chiunque avesse un conto corrente appoggiandoci sull’iban, cosa che in Europa è il cuore di ogni pagamento, siamo un continente bancarizzato. Anche il sistema di paypal non era apprezzato per il fatto che i soldi da lì non tornano sul conto. Pensavamo che fosse necessario riuscire ad addebitare i pagamenti direttamente sul conto, come si fa con le bollette.

La storia dell’impresa è narrata sempre alla prima persona plurale, con chi ha condiviso la nascita e il percorso di Satispay?

Il mio amico Dario Brignone una volta aveva accennato alla difficoltà di fare donazioni alle piccole non profit con il bollettino postale, si era chiesto come mai non ci fosse un sistema più semplice.

Quando ho cercato il modo di fare un’applicazione che non usasse le carte, mi sono ricordato di quella sua osservazione e l’ho chiamato. All’epoca era in Kazakistan come consulente informatico, è tornato. Anche io ero occupato in una private bank a Torino. Non stavo lavorando nell’ambito della finanza e a Londra come mi immaginavo durante gli studi di economia, perché nel mezzo c’è stata la crisi e le banche non assumevano più. Ma ero sempre molto attento all’innovazione e con la voglia di avviare un’azienda per conto mio che mi era venuta dopo aver fatto qualcosa con la mia famiglia. Forse è stata anche una fortuna trovarsi in un momento di crisi. Avevamo entrami un buon impiego ma sentivamo un po’ un freno, la situazione economica non era delle migliori e nelle aziende si stava facendo carriera in modo più lento. Così ci siamo buttati su questo progetto come alternativa ad un master per fare esperienza e tutto si è andato concretizzando.

Entrambi con competenze complementari ma senza appartenere la mondo della banche, come avete colmato esperienze e conoscenze di quella realtà?

Siamo partiti da un punto di vista completamente esterno e abbiamo cercato si Google “addebiti e bonifici”! Era la fine del 2012 e abbiamo scoperto che da febbraio 2014 tutte le banche in Europa avrebbero dovuto adeguarsi a nuovi Rid e bonifici standard, quindi - abbiamo pensato - con due messaggi informatici possiamo addebitare e accreditare da e verso qualsiasi conto corrente.

Chiamiamo l’Abi, Associazione bancaria italiana, e chi chiedono chi siamo: siete un istituto di pagamento? Ancora una volta cerchiamo su Google e impariamo che si tratta di aziende vigilate e controllate che però possono fare tutto, tranne mutui e prestiti e quindi non sarebbe stato necessario un patrimonio di svariati milioni, bastava qualche centinaio di migliaia di euro. Di fatto lo strumento giusto ce lo hanno creato perché dal 2014 tutte le banche avrebbero potuto accettare le stesse transazioni, quindi potevamo avere una ambizione europea, inoltre la stessa normativa europea ha introdotto questa tipologia di intermediari finanziari e avremmo potuto essere un intermediario indipendente senza doverci appoggiare a terzi. Avevo 29 anni e Dario poco più di trenta, ci diciamo che forse vale la pena provarci.

Una congiuntura di elementi favorevoli vi hanno fatto intuire che il progetto poteva funzionare. In questo processo, quando conta l’idea?

Lo 0,5%. Conta il trovarsi al momento giusto al posto giusto e far seguire all’occasione un grandissimo lavoro. Oggi Satispay è utilizzato da 3mila consumatori e 33mila aziende, ogni giorno più di 150 aziende si attivano e circa 800 privati si iscrivono. Siamo diventati una realtà di 67 persone dai due che erano partiti e abbiamo raccolto 27 milioni di euro di investimento. In tutto ciò l’idea conta poco perché chissà in quanti ci avranno pensato, ma per realizzarla si devono trovare compagni di viaggio, risolvere problemi, ogni giorno. Ci saranno 99 investitori su cento che dicono di no e all’inizio su 20 negozianti uno diceva di sì, ora su 10 accettano in 8. Abbiamo insistito, con ben chiaro quale fosse il punto di arrivo: volevamo essere uno degli strumenti leader di pagamento rendendo possibili e facili le piccole transazioni tra privati e ci abbiamo provato con il privilegio di non far parte di questo mondo.

Poter cambiare le regole è sempre stato il vantaggio degli outsider, ma abbiamo sempre immaginato che la crescita delle startup tecnologiche avesse bisogno del terreno ideale della Silicon Valley, sbagliato?

Siamo la startup italiana più finanziata e abbiamo inventato la formula italiana. Ci siamo trovati in un momento in cui, grazie alla tecnologia, i business finanziari bancari, che erano solo appannaggio dei grandi attori, ora sono gestibili anche da nuove società in un mondo in cui è sempre più vero che i veloci sconfiggono i lenti e non più dove i grandi si mangiano i piccoli.

I grandi del mondo finanziario sono stati protetti per molto tempo, più di quanto non sia accaduto per esempio nell’editoria, adesso si trovano impreparati di fronte a innovazioni che aziende nuove possono portare arrivando da fuori e la normativa ci aiuta. Inoltre l’Italia è seconda solo al Giappone per risparmio privato, una risorsa enorme. In un momento in cui gli investimenti privati non stavano dando soddisfazioni, non è stato difficile raccontare a potenziali investitori l’opportunità che stavamo aprendo chiedendo di allocare anche solo il 5% dei loro capitali nella nostra azienda.

Dopo solo un paio di mesi che eravamo attivi, l’ex vice presidente Nokia, direttore marketing a livello mondiale, ci chiede di investire. Aveva capito al volo l’idea perché aveva già visto in Kenya un sistema con cui le persone si passavano credito telefonico per pagare la spesa.

Dopo questo primo contatto abbiamo pensato di farci un video mentre mettevamo su una lavagna le linee del progetto e lo abbiamo mandato a 60 amici. In 52 hanno investito, è stato il primo passo che ci ha fatto capire che aveva un senso restare e sviluppare in Italia. C’era anche una normativa che aiutava le startup innovative e un buon clima di incoraggiamento, inclusi gli avvocati e commercialisti che si sono fatti pagare due anni dopo l’avvio. Dagli investitori abbiamo ricevuto più dei no che dei sì, ma tutto sommato l’Italia ci crede, incluse le quasi 70 persone che coraggiosamente si sono unite a lavorare con noi, il loro entusiasmo è la soddisfazione più grande.

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