A grande richiesta
tra necessità e virtù

eppure ci vogliono. Nel clima sempre più tempestoso, che le elezioni in Svizzera non hanno placato, i frontalieri continuano ad attraversare il confine, su gentile richiesta delle aziende ticinesi.

Non è una conferma che viene tanto dalla crescita dei lavoratori con questo status: un incremento minimo rispetto al trimestre precedente, quello dei primi tre mesi del 2015. Ma che fa comunque notizia, visto che il calo dell’ultimo trimestre 2014 sembrava destinato a innescare una lenta discesa.

Piuttosto, la prova del nove viene da cifre ancora piuttosto impalpabili. Che aspettano cioè di essere ulteriormente fotografate in tempi recenti. Se essere frontalieri diventa più difficile in un’atmosfera così tesa in Ticino, si trova però un’alternativa.

Si opta per una nuova condizione, dove non si viene messi formalmente in discusrsione, non per ora almeno. Basta uno spazio abitativo anche da poco in terra elvetica, ed ecco che da questo status si passa a quello di dimorante. Meno attaccabile.

Si tratta di un’analisi del sindacato; aspetta appunto nuove statistiche nelle settimane che verranno e dimostra che il flusso di occupazione verso il Cantone va avanti. Come nel frattempo i mercati del lavoro tra i due Paesi proseguono nel mostrare le loro peculiarità. Ancora segnato dalla cassa integrazione e dalle ristrutturazioni delle aziende quello comasco, nonostante i timidi segnali di ripresa che si sono percepiti in questi mesi, in settori anche differenti.

Scosso da alcuni fenomeni, come lo tsunami franco-euro, quello svizzero, ma sempre solido e capace, soprattutto desideroso, di richiamare le aziende e di crescere.

E per portare avanti questa sfida, per confermarsi una terra proficua e operosa, la Svizzera - Ticino in testa - ha bisogno di personale altamente qualificato. Di una manodopera che sia creativa e che sia in grado di raccogliere al meglio le domande del mercato.

Si fa di necessità virtù, da ogni parte insomma. Da una parte parte della politica elvetica soffia su quel referendum anti immigrazione che aspetta di essere applicato. Dall’altra l’economia dei vicini di casa chiede - sottovoce quando le acque si agitano ma in maniera evidente - il contributo dei frontalieri. Che si possano chiamare così a tutti gli effetti o che nel frattempo abbiano messo a fuoco altre strade per vivere meglio la loro condizione, poco importa a questo punto.

Alla fine, resta l’unica certezza: che abbiamo bisogno gli uni degli altri. Che la Svizzera è tale anche con l’aiuto dei comaschi e che questi ultimi riescono ad avere un lavoro - spesso meglio retribuito anche se con meno garanzie rispetto a quanto siamo abituati nel contesto italiano - grazie al Ticino.

Un incontrarsi continuo, che passa anche dall’accordo fiscale con l’Italia e dall’intesa europea sugli istituti finanziari e sullo scambio dei dati proprio in queste ore.

Il mondo sta cambiando rapidamente, cadono alcuni tabù e ne sorgono di nuovi. Ma il Ticino e il Lario possono continuare a crescere insieme, integrandosi e scambiandosi esperienze, ciascuno forte della sua identità che viene completata, non indebolita dall’altro.

I numeri forse potranno raccontarlo, oppure no: ma i frontalieri varcano il confine sempre a grande richiesta.

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