Como e la Ca’ d’industria,
un battito di 200 anni

Nei duecento anni che compie oggi la Ca’ d’Industria quanti episodi, quanti volti, quante esistenze si affacciano nelle carte degli archivi, nei documenti d’ufficio, nelle pagine un po’ ingiallite dei giornali.

E quante voci si elevano ancora in quelle carte così lontane nel tempo e sembrano riecheggiare nei locali della benemerita istituzione che non solo esiste ancora, ma dai secoli passati ha riaccolto l’invito a continuare con una nuova forza, un nuovo impulso a potenziare le proprie forze, ad allargare i propri confini.

Come è possibile oggi, constatando l’accresciuta importanza dell’istituzione benefica in una società diversa dal contesto sociale del primo Ottocento, ripercorrerne fin dalle origini un così lungo cammino che Maria Castelli ha bravamente sintetizzato in brevi capitoli? Lorenzo Marazzi, il primo a mettere ordine fra le carte sparse lasciate da tante vicende, ha osservato giustamente che un dato balza all’occhio fra i tanti, l’interesse dei cittadini, un interesse costante che un aggettivo connota ancora meglio con un’accentuazione affettiva, di un’attenzione per gli altri che l’educazione cristiana riveste di religiosa premura: non a caso la primitiva “casa di lavoro” divenuta “casa di riposo” ha mantenuto sempre in vista l’attributo di “pia”. Si sa che nell’Europa settecentesca i potentati avevano un atteggiamento tutt’altro che “pio” nei confronti dei bisognosi, considerandoli almeno potenzialmente pericolosi per la pace sociale e quindi tendendo ad emarginarli, a confinarli in luoghi dove potessero venir sorvegliati ed anche costretti a compiere lavori di pubblica utilità. Una tendenza evidente nel periodo giuseppino ma anche in quello napoleonico, nel quale spuntano le “case di lavoro” o, appunto, “d’industria”.

Un indimenticabile storico lombardo, Giorgio Rumi, ha atto rilevare a tempo debito, quando il rinsaldamento della grande opera della Ca’ d’Industria ha ripreso un rinnovato slancio organizzativo, che lo schema un po’ arido del soccorso per i disagiati posto in pratica dai dominatori stranieri era stato notevolmente ammorbidito dallo spirito fraternizzatore dei comaschi, per indole disponibili al soccorso umano. Così è noto che non mancò mai un sostegno per gli anziani lavoratori della seta, industria-base del territorio lariano, né un impegno per garantire un buon livello d’istruzione medio. E questa disponibilità spiega come mai non venne mai applicato un criterio di sudditanza e di oltranzismo punitivo, praticato in genere dalle milizie degli occupanti francesi o austriaci, in fondazioni del tipo della Ca’d’Industria, con sedi da subito locate nel cuore della città o in edifici di antica dignità architettonica come a San Giuliano, finanziate da benefattori generosi che mantengono l’anonimato ma escono dalle famiglie maggiorenti, i Rovelli, fra cui il provvido vescovo Carlo, i Perti, i Giovio, di suo persino Alessandro Manzoni, che non era ricco ma profondamente caritatevole. Grandi signori, illustri scienziati e intellettuali, membri del clero, possidenti in genere disponibili a cospicui lasciti. Una rete di soccorso che non allenta la sua presenza nemmeno quando la situazione economica generale è in crisi e cede l’intervento delle amministrazioni pubbliche, anche per contrasti politici interni: e accanto alla Casa di Riposo fioriscono le Case di Ricovero, gli asili notturni e le sedi ospedaliere nate dalla fervida attività caritativa degli organi religiosi o dall’energia delle imprese civili, della borghesia illuminata, delle organizzazioni dei lavoratori.

Dietro e accanto la storia della Ca’ d’Industria, che ha mantenuto il suo originario titolo identificativo ma ha mutato la sua intima costituzione, la propria stessa ragion d’essere, moltiplicando e aggiornando periodicamente i centri di accoglienza e cura , si sono diramate dunque altre storie, nel quadro di un’unica complessa vicenda urbana. Lo spirito di famiglia, di amorevolezza, lo scrupolo assistenziale è divenuto con il passare degli anni il blasone, il contrassegno volontario di tutta la città. Mentre festeggiamo i duecento anni della Ca’ d’Industria e quanti oggi la dirigono, la gestiscono, la vivono con il loro sacrificio quotidiano per venire incontro alle necessità degli ospiti anziani o sofferenti, riconosciamo insieme di aver mantenuto fertili le risorse della nostra migliore caratteristica esistenziale, il Grande Cuore di Como.

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