Como, l’occasione
perduta dal Pd

C’è quel tormentone in cui, durante qualunque discussione anche sul sesso degli angeli, salta su uno che chiosa: “Ma il Pd?” Già, ma il Pd in questa elezione comasca come ne esce? Qual è lo stato di salute di un partito che in città, nel giro di tre anni è passato dal 44% delle Europee al 14% delle Comunali di domenica che, dopo aver conquistato il Comune capoluogo, quelli di Mariano e Olgiate Comasco e tanti altri centri del territorio si vede escluso dai ballottaggi di Cantù ed Erba, e in corsa distanziato a Como soprattutto grazie al candidato sindaco, peraltro neppure scelto dal partito. Sì, perché senza la campagna elettorale pancia a terra di Maurizio Traglio e il migliaio e rotti di preferenze portate a casa da Barbara Minghetti e Vittorio Nessi, le due punte della lista civica dell’imprenditore, probabilmente Alessandro Rapinese non avrebbe visto morire all’alba il suo sogno. Qualcosa si è perso a sinistra, proprio a causa del candidato, ma le rotture consumate con i gruppi di Bruno Magatti e Celeste Grossi non sono certo attribuibili a lui,.

Il Pd insomma esce alquanto ammaccato da questo passaggio elettorale così come i Cinque Stelle che però, non ce ne vogliano, da queste parti sono sempre stati ai margini. E allora in vista del secondo round comasco che potrebbe comunque rimescolare le carte, è il caso di parlare di occasione perduta. Non tanto per il calo di consensi, del tutto prevedibile. Nel 2014 si andò ai seggi all’apogeo della stagione renziana e con gli 80 euro in saccoccia. Il discorso è più ampio e investe tutti i cinque anni in cui, per la prima volta, il partito è assurto al governo della città senza poi riuscire a consolidare la propria leadership. E il risultato di domenica, seppure omologabile al resto d’Italia (il che può essere un’attenuante ma anche un aggravante) è lì a dimostrarlo. Cinque anni fa, Mario Lucini riuscì a conquistare i consensi di una parte del blocco sociale moderato che si era sempre tenuto ben alla larga dal centrosinistra. Ma quei voti in libera uscita sono tornati a casa, salvo qualcuno e solo grazie alle relazioni coltivate da Traglio. La responsabilità è certo del sindaco e dell’amministrazione uscente che non sono riusciti nella mission di risolvere il problema del lungolago, ma anche del gruppo dirigente del Pd che, a causa delle divisioni interne, non ha mai o quasi posto la questione del governo del territorio al centro della propria azione politica. Anche i meriti dell’azione di governo della giunta Lucini sono difficilmente ascrivibili all’opera del partito che neppure è riuscito a diventare un punto di riferimento forte della società e delle tante energie positive di Como.

Di fatto, il sindaco Lucini è rimasto solo a sbagliare. Con il partito distratto o impegnato in altre questioni. E gli elettori hanno presentato il conto. L’occasione di ampliare la testa di ponte conquistata cinque anni fa è sfumata. E chissà quando se ne ripresenterà un’altra. Forse anche domenica 25. Ma sarebbe il caso di cambiare in fretta passo, come promesso spesso invano, nello slogan dell’amministratore uscente.

Certo, si potrebbe dire che è venuto meno quell’effetto Renzi che aveva gonfiato le vele del Pd comasco. Ma forse è qui il problema, che investe anche il centrodestra. È mai possibile, infatti, che la politica a Como riesca ad affermarsi solo per fattori esogeni (si veda nell’ambito moderato l’effetto negli anni passati, i lunghi effetti determinati dalle leadership di Silvio Berlusconi e Roberto Formigoni)? E che territorio non sia capace di selezionare un gruppo di comando, di opinion leader della società capaci di intercettare il consenso e la partecipazione (che è crollata domenica) e giocarli come carte pesanti sui tavoli decisionali che futuro potrà avere.

Il tema è forte, complesso, richiede tempo e soprattutto personaggi all’altezza dei ruoli. Potrebbe essere un percorso possibile da avviare anche dopo il 25, quando si conoscerà il nome del nuovo sindaco.

E, poiché i partiti a Como sembrano aver perso la capacità di essere cinghie di trasmissione delle istanze e delle energie del territorio, dovrebbe essere lui ad assumere la guida del processo. Dovrà essere attorniato da una squadra all’altezza della difficoltà della sfida ed essere capace di spendersi al massimo delle proprie capacità. Altrimenti, il rischio è quello di ritrovarsi, tra cinque anni a rimpiangere un’altra occasione perduta.

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