Como pedala
ma è troppo lenta

Nel giorno della presentazione di un meritorio e importante progetto per dotare la città di Como e i tanti che vengono a visitarla di 32 chilometri di piste ciclabili, viene da dire che se il Comune andasse alla velocità di una bicicletta da passeggio sarebbe grasso che cola.

Perché quello stesso giorno coincide con la vigilia di una terribile tragedia avvenuta 36 anni fa che purtroppo vide vittima anche la famiglia comasca Mauri. Nella strage provocata da una bomba alla stazione di Bologna affollata di vacanzieri morirono la mamma Anna Maura Bosio di 28 anni, il papà Carlo Mauri di 32 e il piccolo Luca di 6.

Un anno fa, di questi tempi, l’assessore comunale Marcello Iantorno rilasciò la seguente dichiarazione: “Sono 35 anni che la città aspettava e sono orgoglioso di poter dire che finalmente la città intitola un piazzale, nel quartiere dove la famiglia Mauri aveva vissuto. Era un atto doveroso per mantenere vivo il loro ricordo e il ricordo di tutte le vittime della strage di Bologna. Questa intitolazione contribuirà a rinnovare in ognuno di noi il necessario impegno civile e a risvegliare e sollecitare il diritto di conoscere la verità e avere giustizia”.

“La famiglia Mauri abitava in via Polano vicino proprio a questo piazzale”, aveva continuato Iantorno. “La targa che sarà posizionata riporterà la seguente dicitura : Piazzale Famiglia Mauri Carlo, Anna Maria e il piccolo Luca, vittime della strage di Bologna 2 agosto 1980”.

Nell’attesa della realizzazione delle nuove piste ciclabili è comunque possibile raggiungere con facilità la via Polano a Tavernola, per poter, penserete voi, rendere omaggio alla memoria della famiglia Mauri, magari sostando in raccoglimento sotto la targa. Perché la parole di Iantorno non erano state pronunciate a vanvera ma frutto di una delibera approvata dalla giunta comunale il 29 luglio (del 2015).

Purtroppo potete risparmiarvi la pedalata verso la frazione che sta tra Como e Cernobbio perché la targa con la dicitura “Piazzale Famiglia Mauri” non la troverete.

Sembra incredibile ma 365 giorni non sono bastati per un lavoro che un’impresa privata potrebbe svolgere al massimo in una settimana: realizzare la targa e collocarla al suo posto. La colpa non è tutto del povero Iantorno che in questa vicenda quasi kafkiana ricopre solo il ruolo di assessore con delega in materia. La responsabilità e della solita burocrazia che impone a un’istituzione pubblica il solito iter di bandi, firme, controfirme, timbri, visto si faccia, eventuali ricorsi seguiti dagli inevitabili contro ricorsi e contro ricorsi dei contro ricorsi al Tar, al Consiglio di Stato e magari alla Corte dei Diritti dell’Uomo. Si esagera è ovvio ma non troppo. Poi ci sono i vincoli di bilancio. Sempre più stretti certo. Costa così tanto una targa?

In mezzo a questi percorsi tortuosi, però, dovrebbero essere la perizia e la sagacia degli amministratori e dei politici a trovare la strada più breve. Magari non è stato possibile. Ma questa piccola grande vicenda perché legata alla strage di una famiglia innocente rischia di diventare emblematica.

Se in un anno a Como non si riesce neppure a collocare una targa, dobbiamo stupirci per lo stallo di opere ben più corpose e impegnative come l’intervento su Villa Olmo per tacer del cantiere delle paratie padre di tutti i ritardi e di ogni fallimento dell’azione amministrativa? Insomma c’è qualcosa che non funziona nella pancia di questa città. Urge trovare la cura. Nel frattempo l’unica è pedalare, ma un po’ più veloci.

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