Deflazione: allentate
i vincoli europei

Preannunciata dai dati macroeconomici di dieci città a inizio agosto, la bomba deflazione piomba sul tavolo del primo Consiglio dei ministri dopo la pausa estiva deflagrando sull’autunno gelido che ci attende. Dopo oltre 50 anni il livello generale dei prezzi e dei servizi è diminuito, ci informa l’Istat. Non accadeva dal 1959, quando però eravamo in pieno boom economico e il Prodotto interno lordo oscillava tra il 5 e il 7 per cento (nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella miseria).

Ora il combinato disposto deflazione-recessione rischia di innescare una spirale

negativa sull’economia italiana ancora più pesante di quella che stiamo vivendo. La gelata dei prezzi infatti crea un circolo vizioso che porta meno ricavi e liquidità alle aziende e di conseguenza spinge a produrre di meno o ad abbassare i prezzi degli stock invenduti in magazzino, con la rinuncia ad assumere o peggio a licenziare (gli ultimi dati sulla disoccupazione fanno rabbrividire: 12,6 per cento, con qualche miglioramento sul fronte di quella giovanile, che resta altissima, al 42,9 per cento). Tutto questo naturalmente innesca a sua volta un abbassamento del reddito e un ulteriore calo della domanda aggregata.

La tempesta perfetta in cui ci siamo ritrovati dipende dalla debolezza dei consumi delle famiglie, che evidentemente sono stremate da tasse e bassi salari, quando addirittura non hanno accusato un drastico calo del reddito dovuto alla cassintegrazione o alla perdita del posto di lavoro. Su questa base gli 80 euro di Renzi non sono stati sufficienti ad accendere la scintilla del motore del consumi e riattivare la domanda interna. La situazione è davvero drammatica: due italiani su tre hanno alleggerito il carrello della spesa, ci informa la Coldiretti, rinunciando oltre che alla carne, persino ai latticini e agli ortaggi.

Che fare dunque, dal punto di vista della politica economica, per spezzare la spirale deflattiva? Teoricamente, il premier Matteo Renzi dovrebbe stampare moneta, salire a bordo di un elicottero e bombardare l’Italia di mazzette di banconote, in modo da permettere alle famiglie di spendere. Ma la leva della moneta, come è noto, non è più nelle mani dei governi di Eurolandia. La Banca Centrale europea, purtroppo, dominata dalle politiche rigoriste dei tedeschi, ossessionati dall’inflazione (non è un caso che la sua sede sia a Francoforte) non può fare molto per favorire la domanda interna dei Paesi dell’Unione (a differenza della Federal Reserve). Anche perché i tassi sono già ai minimi storici (0,15 per cento) come è accaduto nell’ex catatonico Giappone, e i margini ormai sono ristrettissimi. Oltretutto le banche anziché immettere nell’economia reale la liquidità offerta dalla Bce (dei 1000 miliardi euro di Draghi riversati in Eurolandia ben 250 sono stati destinati nel nostro Paese) l’hanno investita in titoli di Stato (che poi hanno tenuto in pancia). La controprova è costituita dal fatto che lo spread con i titoli tedeschi è ai minimi storici quasi ovunque.

Questo non significa che gli istituti di credito siano avidi e vogliano affamare il popolo. La loro prudenza è dovuta anche ai numerosi crediti inesigibili che si sono ritrovati con la crisi economica. Ora il risanamento è più difficile, anche perché la fiducia degli italiani, propellente economico fondamentale, continua a diminuire. Nemmeno il taglio della spesa pubblica le varie spending review tanto sbandierate sono la panacea ai nostri mali, perché la spesa pubblica, come è noto, produce anche reddito e contribuisce al Pil. Una delle vie d’uscita è certamente l’allentamento degli scellerati vincoli di Maastricht, ormai antistorici (risalgono al 1992 in piena espansione economica). Lo capiranno i tedeschi, cui abbiamo già gentilmente pagato la riunificazione delle due Germanie, o continueranno a mandare in crisi l’Eurozona?

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