E’ meglio la tv
dei libri a perdere
e’ meglio la tv
dei libri a perdere

I partiti, se non ci fossero, bisognerebbe inventarli. Uno lavora e fatica e si arrabatta tutto il giorno tra mestizie, nequizie e facezie ammorbato da mogli, parenti, amici (?), colleghi, questuanti, mestieranti, postulanti e così, una volta arrivato a casa, non vede l’ora di stravaccarsi sul divano e godersi in olimpica solitudine qualche attimo di buonumore. Accende la televisione, cerca i programmi trasmessi nei peggiori bar di Caracas e naufraga nel gran Bagaglino della politica politicante e politicata.

Dario Franceschini, ad esempio, è un mito. Uno scienziato. Un cervellone. Un gigante del Novecento. Esponente spassoso di un mondo particolarmente spassoso, un paio di giorni fa al Salone del libro di Torino ha regalato una perla delle sue, che lo conferma come uno dei maestri di pensiero più profondi della Seconda Repubblica: «La televisione ha causato troppi danni alla lettura, adesso deve risarcirla con spot gratis a favore dei libri». Risate. Poi, non pago, ha pure aggiunto che servono più trasmissioni che presentino libri e, soprattutto, basta con queste fiction italiane dove i personaggi fanno di tutto, ma ce ne fosse uno con un libro in mano! E, quindi, dalle prossime produzioni vedremo spuntare Gabriel Garko al centro benessere che elucubra sui “Karamazov”, Marco Bocci a caccia di criminali mentre sunteggia “Le memorie di Adriano” ed Elena Sofia Ricci al bar dei Cesaroni tra un abbacchio alla scottadito e l’”Ulisse” di Joyce. Nuove risate.

Ora, che ci sia un tale che di mestiere fa il ministro della Cultura che viene a proporre una specie di pubblicità progresso stile anni Settanta che al solo pensarci vengono in mente quei filmati bulgari al tanfo di Aqua Velva, forfora e vaselina trasmessi alle undici di sera - dopo i Programmi dell’accesso e appena prima di Protestantesimo - che ci hanno ammorbato la giovinezza è una roba da buttare via la testa. E che fa domandare quale curioso paese sia questo che ai due ministeri strategici per eccellenza – la cultura e il turismo – non metta mai il meglio delle intelligenze capaci di trasformare una Repubblica delle banane nel Bengodi dell’occidente, ma invece sempre ferrivecchi cisposi, sciampiste cotonate o figli della serva.

La risposta è semplice. Questo approccio pedantesco, polveroso, tipico del barbogio stantio col sopracciglio alzato non è altro che il cascame della culturetta da liceo gentiliano che informa di sé tutta la nostra classe dirigente e che le fa pensare che il libro sia il bene a prescindere e la televisione il male a priori. Che tromboni. Che bolliti. Che inadeguati. Come se il valore della cultura stesse in un oggetto o una specifica forma di comunicazione e non invece nel suo contenuto. Oppure, come diceva Croce - del quale si possono consigliare al ministro alcune pregevoli opere, disponibili anche in edizione economica – ci si illude che cultura significhi parlare di certe cose e non invece un certo “modo” di fare le cose. E che quindi si può fare cultura altissima analizzando la polenta col brasato e invece sfornare porcherie in serie su Anassagora, Anassimandro e Anassimene. E viceversa, naturalmente.

E infatti Carlo Freccero, che resta pur sempre un genio, ha avuto gioco facile nello sbertucciare il ministro, «molto televisivo nel dire che la televisione ha fatto tanti danni: il suo è un intervento demagogico e superficiale mentre avrebbe dovuto dire che i politici hanno fatto un sacco di scelte e di nomine sbagliate». Quindi, l’unica analisi seria è rendersi conto che la cultura borghese, di cui il libro, e il romanzo in particolare, ha rappresentato la sintesi, è scomparsa. Ha vinto la cultura di massa e da qui in poi si gioca un’altra partita, benché oggi, nonostante tutto, si leggano comunque più libri che nell’Ottocento. E poi, che significa leggete più libri? Franceschini crede forse che l’opera omnia di Moccia – che andrebbe associato per decreto alle zolfare di Rosso Malpelo – valga più di una sola sequenza della meravigliosa serie tv “Six Feet Under” oppure una delle svariate sfumature di grigio – qui invece è meglio andare diretti in fonderia – abbia più nobiltà dei magnifici affreschi sul rat race americano offerti da “Mad Men” o “Scandal”? Ma quanti libri di sopravvalutatissimi autori italiani – Mazzantini? Mazzucco? De Carlo? – non valgono niente rispetto a “Romanzo criminale” o il freschissimo “Gomorra”? Ma dove l’hanno pescato il ministro Franceschini, lui e la sua prosopopea tipica di un ambiente che parla e straparla senza aver più alcun legame con la realtà? E se la sinistra è conciata così, non parliamo della destra, perché lì invece si passa direttamente all’avanspettacolo, visto che i libri sono considerati una schifezza a prescindere e i film con Boldi e De Sica (figlio) vengono accusati di ermetismo. Trama troppo complessa…

C’è un unico punto su cui i nostri due emeriti schieramenti politici trovano una mediazione bipartisan tra libri e tv: quando bisogna invadere i talk show per casalinghe con la presentazione dell’ultimo volume, che nessuno si azzarderà a leggere ma che comunque fa tanto fine. Ad esempio, l’imperdibile romanzo d’esordio dello stesso Franceschini, “Nelle vene quell’acqua d’argento”, opera alla quale Proust fa un baffo, o anche “Il cuore a destra” di Maurizio Gasparri, capace di dare sonori punti a Céline, senza dimenticare “Mutate mutanda” del noto costituzionalista Roberto Calderoli. E che dire de “La politica nel cuore” di Paolo Cirino Pomicino, del quale il mitologico Cossiga diceva che non avrebbe capito Keynes neppure se glielo avessero tradotto in napoletano, o de “Il guastafeste” di un Antonio Di Pietro mai così all’altezza di Robespierre?

Ecco. Forse abbiamo svelato l’arcano. Forse sono questi i libri per i quali tanto si infervora il ministro e ai quali bisogna dare più spazio in televisione. E se è così - ed è così - meglio buttarsi su Bombolo, Anna Maria Rizzoli e Alvaro Vitali. Qualcuno ha un dvd da prestare?

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