Il debito pubblico
stronca l’Italia

Il fallimento delle politiche economiche varate negli ultimi anni dai governi italiani è legato alla scarsa incidenza che esse hanno avuto sull’andamento del debito pubblico. Malgrado i grandi sacrifici imposti al cittadino, il debito pubblico non ha mai arrestato la sua ascesa raggiungendo oggi la cifra-record del 133,8 per cento del Pil. P

oiché siamo ormai abituati a convivere con il debito statale, l’opinione pubblica sembra non percepire compiutamente la gravità di questa distorsione. Partiamo da un dato che potrebbe risultare, perfino, paradossale: in Italia, le entrate dello Stato sono

superiori alle uscite. Questo saldo attivo viene definito, tecnicamente, “avanzo primario”. Ponendosi nei panni dell’economia “domestica” di ciascun cittadino, sarebbe come percepire un salario di 1.500 euro a fronte di una spesa ordinaria (per vitto, utenze, ecc.) di Eu 1.000: sarebbe tutto facile se non ci fosse, però, da pagare un mutuo che prevede una rata mensile di eu 1.800. Ecco, in soldoni, in cosa consiste il “disavanzo secondario”, cioè il saldo negativo derivante dall’obbligo di includere tra le uscite anche quella del “mutuo” mensile: per lo Stato, tale obbligo si identifica con il rimborso dei prestiti contratti con il cittadino, vale a dire del famigerato debito pubblico. Si capisce, pertanto, perchè il vero dramma del nostro paese consiste nella spesa per interessi che ha, di fatto, divorato i sacrifici compiuti in questi sei anni di recessione. Il dato allarmante, che gran parte dell’opinione pubblica ignora, è che gli interessi pagati dallo Stato italiano ai sottoscrittori del debito sono, perfino, superiori a quelli pagati da Irlanda, Portogallo e Grecia i quali, per uscire dall’impasse della crisi, hanno dovuto piegarsi, notoriamente, ai diktat della terribile troyka (Ue, Bce e Fmi).

La nostra economia, pertanto, non riesce a produrre quanto serve per coprire la spesa corrente (cioè, quella destinata ai servizi per la collettività), la spesa in conto capitale (cioè, quella per gli investimenti) e quella per il rimborso del debito. La verità è che il nostro paese sta pagando a caro prezzo l’errore di non avere mai approfittato delle fasi espansive della nostra economia per erodere lo stock del debito che avrebbe consentito di alleggerire la spesa per interessi. Dobbiamo ammettere che in Italia abbiamo realizzato una versione del tutto aberrante del keynesismo che, come saprebbe anche uno studente di Economia, nel ciclo espansivo suggerisce di tagliare la spesa e inasprire, contestualmente, il carico fiscale per poter drasticamente ridurre il debito pubblico. Così non è stato.

Il dramma italiano, pertanto, è esattamente questo: cioè, ci troviamo nella grave difficoltà di dover ridurre il debito in una fase del ciclo economico ormai prossimo alla depressione se è vero, com’è vero, che la crescita del Pil, prevista per il 2015, sarebbe dello 0,6% , cifra largamente insufficiente per conseguire il bilancio in pareggio imposto dall’Ue.

Il buon senso suggerirebbe di non abbattersi ma, neppure, di fingersi ottimisti per evitare di dare ai nostri partners la sensazione che, come diceva Ennio Flaiano, in Italia, come sempre la situazione è grave ma non è seria.

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