Il dopo Lucini e la finta
superiorità piddina

Palazzo Cernezzi pullula di scienziati, di strateghi, di statisti. E come te la spiegano, la verità che hanno in tasca, e questo si fa così e questo si fa cosà e quest’altro non si fa, ma si farà e tanto abbiamo fatto, ma tanto c’è ancora da fare, tutti compresi, adesi e coesi nell’eroica missione di salvare la polis dalle grinfie dei traffichini, dei margnaffoni e degli incapaci che ne hanno fatto strame prima dell’arrivo dei perfetti, degli specchiati, degli ottimati, degli immacolati.

E che tono, che piglio, che occhi di bragia nel fulminare chi si permette sommessamente di segnalare qualche minima imperfezione - una quisquilia sulle paratie? un refolo sulla Ticosa? un lapislazzulo su Acsm? - nel geometrico meccanismo amministrativo che inserisce la Como del Pd nella cosmogonia delle migliori città possibili. E come si prendono sul serio e quanto alzano il sopracciglio e pensano e ponzano e si grattano la pera con sommo disprezzo nei confronti di questo giornalaccio senza arte né parte che è solo capace di tutto criticare senza mai nulla apprezzare. Sfascisti. Squadristi. Qualunquisti. Populisti. D’altronde, e lo dicono per davvero - si sa che a quelli di sinistra la gente normale fa schifo - i vostri lettori non è che siano all’altezza di cogliere i nostri alti ragionamenti, non è che siano attrezzati, non è che siano sufficientemente acculturati e quindi comprendiamo che voi dobbiate abbassarvi al loro livello - al livello degli analfabeti che votano Lega e Forza Italia, che orrore, signora mia… - e quindi contrari e opposti rispetto alla superiorità antropologica di quelli che hanno sempre capito tutto e che hanno sempre avuto ragione. Anche quando avevano torto.

Tutto vero. Solo che a un certo punto - forse dopo la centesima volta che, senza alcun senso della vergogna, si sono azzardati a pontificare sul loro indefesso lavoro che sta producendo risultati straordinari sul fronte paratie - nel diorama comasco si è creato un attimo di silenzio. Un silenzio assordante. Un silenzio immoto. Un silenzio di neve. Poi, pian piano, dal Baradello al San Martino, da Villa Olmo a Villa Geno, dalla città murata su su fino ai quartieri più selvatici e dimenticati della città, si è riversata sulla giunta di centrosinistra una risata omerica, mefistofelica, pantagruelica. Una risata vi seppellirà. Tanto è vero che ancora adesso, dopo giorni e giorni, ci si imbatte ancora in qualcuno che si dà di gomito o in qualcun altro che si tiene la pancia ripensando alla battuta più spassosa dell’anno.

Ora, va bene che siamo gente di grana grossa, però delle due l’una. Se stanno recitando una disperata parte in commedia, complimenti davvero per un’applicazione del metodo Stanislavskij da far invidia al De Niro di “Toro scatenato”, ma se credono per davvero e sul serio a quello che stanno dicendo a proposito di paratie (dove gli unici risultati tangibili sono stati portati a casa dalle cartoline della “Provincia” e dalle firme di sessantamila comaschi, altro che il loro latinorum…), Ticosa e Acsm, forse è meglio che qualcuno chiami la Croce Verde. E pure alla svelta.

Non bisogna mai approfittare dei colpi di fortuna. E se ti è capitato - senza merito alcuno - di vincere le elezioni e prenderti il sindaco della città più conservatrice d’Italia, d’Europa, e probabilmente dell’intero sistema solare, dopo tremila anni di opposizione e questo è accaduto solo e soltanto per le malefatte monicelliane, albertosordesche di un centrodestra che è meglio rimanga al confino a Lipari e a Ponza per non meno di un ventennio, non puoi permetterti di riuscire nell’impresa napoleonica di fare addirittura peggio. E poi di tirartela pure da fenomeno. Loro, i maestri delle varianti e degli spacchettamenti (con conseguente associazione plurima alle patrie galere), i guru delle municipalizzate, i sofisti del parco urbano, vengono anche a farti la lezione, a farti la spiega perché sei tu che non capisci, sei tu che fomenti, che brighi, che sguazzi nel truologo della demagogia un tanto al chilo. E poi ti fanno il muso. E adesso con voi non parliamo più e adesso al telefono non vi rispondiamo più e adesso vi diffidiamo dal citarci e questo titolo è infamante e questa foto è diffamante e questo pezzo è insinuante.

Ora, vediamo di mettere le cose in chiaro. Lucini ha detto di non volersi più ricandidare. E’ una saggia decisione. Ha avuto la sua chance, ha fallito, è giusto che si metta in disparte. Un percorso logico, vista l’agonia progressiva della giunta, che un partito con un minino di senso della realtà avrebbe già metabolizzato e che invece ha scaraventato il Pd nel marasma più completo. Questi, credeteci, sono disperati. Sono alla canna del gas. Non sanno che pesci pigliare. Non sanno dove sbattere la testa. Anche perché sanno perfettamente che l’anno prossimo finiranno all’opposizione per altri trenta secoli. Non hanno in giro uno straccio di candidato che possa presentarsi davanti agli elettori e spiegare, senza farsi prendere a pesci in faccia, come in cinque anni non siano stati capaci di combinare un tubo sui due problemi decisivi della città. E’ vero che dall’altra parte sono conciati pure peggio e che il pallido candidato grillino e il pittoresco candidato civico strappano sorrisi di tenerezza. Ma questo non risolve la questione. La aggrava, piuttosto.

Per loro, quindi, vale lo stesso ragionamento di quelli dell’altra sponda. Vedano di tirar fuori un leader vero, serio e competente dal cuore della società civile, uno che sappia cosa significa amministrare e decidere e non si permettano di arzigogolare con ciarpame di risulta. Perché se pensano di rifilare ai comaschi una mezza figura, un sopracciò, una testa di legno oppure il classico burocrate pulcioso, squamoso e forforoso tirato fuori da chissà quale scantinato del loro polverosissimo partito, stiano certi che li aspetta una campagna elettorale anche più fallimentare del campionato di qualche nobile decaduta con la maglia a strisce.

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@DiegoMinonzio

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