Il teschio di Plinio
e il futuro di Como

Pare che l’unica non entusiasta dell’eventuale trasferimento delle reliquie di Plinio il Vecchio al museo Giovio, sia stata la mummia Isiuret. Ma solo perché, nel caso, rischierebbe di perdere il centro dell’attenzione, che ha sempre occupato, soprattutto nei confronti dei visitatori più piccoli.

Battute a parte, è di grande interesse per il territorio lariano e i suoi abitanti la notizia, apparsa ieri su “La Stampa”, del cranio dell’illustre comasco abbandonato su una teca polverosa nel Museo storico dell’Arte sanitaria di Roma e bene ha fatto una concittadina, Elena Corengia, a lanciare l’appello per riportarlo a Como nella piazza più animata del capoluogo (il gruppo di Facebook “6 di Como se...”). Nella stessa sede è intervenuto qualche ora dopo l’autore dell’articolo, Andrea Cionci, per diffondere un secondo appello: a uno sponsor che sostenga le spese (10mila euro) per sottoporre il teschio ad esami più moderni e inappuntabili di quelli avevano portato all’identificazione ai primi del ’900, quando lo scheletro fu ritrovato. Sarebbero disposti ad eseguirli gli stessi antropologi che hanno datato l’uomo di Similaun.

Se l’appartenenza dei resti all’autore della “Naturalis Historia” è considerata quasi certa a prescindere da ulteriori esami (furono trovati sulla spiaggia di Stabia, con addosso le insegne dello status di cavaliere e ammiraglio che Plinio ricopriva, e il cranio appartiene a un uomo della sua età, circa 50 anni), di sicuro Como dovrebbe fare di più per valorizzare la sua memoria. Non solo per riconoscenza, ma anche per interesse: è una di quelle (poche) figure spendibili a livello planetario, come Volta e, in ambiti più ristretti ma comunque significativi, Sant’Elia e Terragni. L’esame definitivo, peraltro, sarebbe particolarmente interessante per il Lario, e foriero di vasta eco: verrebbe realizzato confrontando gli isotopi contenuti nei denti con quelli delle acque comasche. Per l’uomo che ha studiato fonti celebri (come la Pliniana di Torno), dato il nome a un’acqua imbottigliata per decenni (la Plinia del Tisone a Tavernerio) e legato la sua origine al nostro lago, sarebbe un bel colpo di teatro postumo.

Ma, a prescindere da queste indagini di laboratorio, Como già potrebbe fare tanto per costruire un percorso cultural/turistico forte sulla città romana attorno ai due Plinii: il Vecchio che però visse gran parte della vita a Roma e il nipote/figlio adottivo, che invece rimase più legato al Lario. Se ieri era l’anniversario della morte del primo, asfissiato dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C. mentre cercava di studiare il fenomeno da vicino e di portare aiuto a un amico, quest’anno ricorre il 1940° della sua “impresa” più importante, quella “Naturalis Historia” che anche Wikipedia, enciclopedia più consultata al mondo, riconosce come propria antesignana: «Le opere enciclopediche esistono da circa 2000 anni: la più antica che si è tramandata, la Naturalis historia, fu scritta nel I secolo da Plinio il Vecchio», si legge alla voce “Enciclopedia”.

Como ha riconosciuto i Plinii come fondatori spirituali della città (quello politico, come noto, fu Giulio Cesare nel 59. a.C.) collocandoli ai lati del portale del Duomo nel 1480 e difendendoli dalle critiche di forestieri - che non sempre hanno apprezzato due pagani sul massimo tempio cristiano - a volte anche autorevolissimi, come Carlo Borromeo (vescovo di Milano dal 1564 al 1584) ai tempi della Controriforma.

In attesa del teschio di Plinio, andrebbe salvato l’orto botanico romano che aveva creato nel cortile del museo l’ex direttore Lanfredo Castelletti, scegliendo specie segnalate nella “Naturalis Historia”, e che langue da quando il suo “papà” è andato in pensione: se lo adottasse una scuola, magari il Volta, che sulla facciata espone i busti dei Plinii, assieme a quelli di altri illustri romani (e, per contrappasso rispetto al Duomo, anche di due papi e di Sant’ Abbondio)?

Sempre nei cortili dei musei civici si trovano le colonne del porto romano, che dovrebbero con un contorno esplicativo tornare nella loro sede originaria (piazza Cacciatori delle Alpi, ideale biglietto da visita della Como antica per chi arriva da San Giovanni), e frammenti di quelle attribuite alla villa Comoedia di Plinio il Giovane a Lenno, distrutta, pare, nientemeno che da uno tsunami del VI secolo (cui dedicò un documentario la tv svizzera, per capire l’impatto di queste storie). Ma tutta la città pullula di testimonianze riferibili a Novum Comum, che andrebbero connesse tra loro e con i siti, più evidenti, delle Terme romane di viale Lecco (costruite con un lascito di Plinio il Giovane e addirittura le più grandi dell’impero fuori Roma, secondo recenti studi, alla faccia della guida di Newton Compton “101 tesori nascosti di Milano” che le rivendica al capoluogo regionale, fraintendendo la presenza in Sant’Ambrogio di una lapide con parte del testamento pliniano) e Porta Praetoria. Sulla facciata Sud dello stesso Duomo, per esempio, vi è anche il poeta Cecilio, cui Catullo nel “Carme 35” rivolse l’invito a lasciare le “nuove mura di Como”, fatte costruire da Giulio Cesare, per andarlo a trovare a Verona. In via Zezio i resti della villa romana, che Giorgio Luraschi nella sua “Storia di Como antica” ipotizza essere appartenuta a Plinio il Giovane o al suo amico poeta Caninio Rufo. Altre fonti prestigiose - Paolo Giovio e il suo discendente Giambattista - avevano identificato il “suburbanus” di Rufo rispettivamente nei resti rinvenuti sotto le attuali Villa Gallia e Villa Olmo. Per finire, al Teatro Sociale, il velario ottocentesco dipinto da Alessandro Sanquirico riassume la scena in cui Plinio il Vecchio trovò la morte.

Certo, non basta proporre o, peggio, lamentarsi, per far crescere una città. Bisogna fare. Per questo, nel nostro piccolo, come già fatto per Sant’Elia e Volta, il prossimo 1° ottobre dedicheremo a Plinio il Vecchio un numero monografico del nostro supplemento domenicale “L’Ordine” e poi una passeggiata creativa sulle sue tracce, in collaborazione con Wikimedia Italia .

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