La piazza di Riva,
un sogno di poeta

La piazza? Solo uno spazio vuoto fra le case, disse una volta sbrigativamente Pasolini che osservava con sgomento lo sfacelo delle periferie metropolitane, paragonandole alle aree ad uso pubblico progettate all’unisono con la cornice edilizia. Quello squallido panorama non aveva niente a che vedere con i mille luoghi strettamente interconnessi con la storia stessa delle città europee, alle piazze del mercato, delle cattedrali, o civiche, ducali, d’armi, agli squares, alle places royales, alle piazze del Municipio o della Repubblica. Niente, appunto, o i miseri resti di tutto ciò, difficilmente identificabili anche come funzione. È il noto caso di piazza Cavour, nata non certo secondo un progetto urbanistico globale ma in seguito al riempimento di una conca portuale.

Fra i molti tentativi di dare una sistemazione conveniente e definitiva ad una piazza frettolosamente arredata nel 1910 con aiuole e lampioni si giunse nel 1975 alla determinazione di affidare proposte di intervento a due progettisti di diversa formazione, Bruno Munari che si affiancò all’architetto Lorenzo Forges Davanzati, ed Eli Riva. Ebbi l’occasione di seguire il lavoro di ambedue gli incaricati, apprezzando subito il fatto che partivano da presupposti diversi circa la finalità dell’operazione, non solo per l’uso dello spazio a disposizione ma anche per il modo con il quale avrebbe dovuto essere inserito nel contesto urbano. Munari e Davanzati considerarono infatti la piazza come una sorta di campo d’azione collettiva, diviso per aree, l’una destinata a spettacoli in una vasca gradinata con richiami a elementi monumentali antichi, l’altra liberamente attrezzata con strutture mobili da spostare per vari impieghi secondo le esigenze del momento (mercatini, concerti, feste).

Nulla di tutto questo appare nella piazza di Eli Riva, che l’adotta non come un palcoscenico da animare, ma come platea per contemplare l’intorno. Il fulcro della sua attenzione creativa è l’ambiente da non alterare in alcun modo, nessun ostacolo deve essere posto sul passaggio delle persone che si muovono o sostano. Il vuoto domina la scena, non oggetti solidi. Per godere della sua trasparenza, del respiro che consente la sua vastità ariosa, meglio stare in silenzio e vagare con lo sguardo sul paesaggio lacustre e montano, suggestivo scenario immobile. È una concezione riflessiva di un artista immaginoso qual era Eli Riva, che si presta a considerazioni attualissime, per esempio seguendo i precetti teorici di uno studioso del valore di Fernando Espuelas che attribuisce al vuoto il potere di “attivatore della coscienza”. Non è un ragionamento azzardato, se teniamo presente l’effetto che può fare un luogo interamente svuotato da ingombri vari, specie se sono di notevole mole: come a Como la piazza Grimoldi, che all’improvviso, senza auto in sosta, offre una serie di visuali prospettiche e di percorsi fino ad allora non percepibili.

Ma torniamo al progetto di Riva. Per attuare questa radicale proposta di riattivazione ambientale, l’artista dedicò la sua ricerca - da scultore estremamente sensibile alla duttilità della materia - alla pavimentazione, prevista a grandi masselli in varie dimensioni ed anche in colori alternati in modo tale da evocare visivamente le onde del lago durante le periodiche esondazioni, come la traccia di eventi ripetuti, segni di un racconto. Lui la chiamò “accettazione della vita dell’acqua”, un gesto di rispetto esteso per tutta la dimensione del sito, fino alla via Plinio e quindi allo sbocco in piazza del Duomo. Lo spazio, già ampio nella piazza così sgomberata, sarebbe diventato quindi ancora più vasto, accentuando l’importanza di tutti gli edifici della zona. E il lago, ideale meta di tutti i visitatori, avrebbe acquistato una visibilità maggiore, percorrendo una superficie libera alla quale il progettista aveva impresso una lieve ondulazione, dandole una forma simile ad un vassoio lievemente inclinato verso la sponda del primo bacino lariano. Una forma calpestabile che servisse da invito, un omaggio ad una piazza/non piazza divenuta parte di un insieme paesistico più liquido che terrigeno, più lacustre che urbanizzato.

Sono ipotesi, immagini, voli della fantasia: l’anticamera di un progetto da definire. Non entriamo, ricordando la genesi di questa opera inventiva di Eli Riva, in calcoli di realizzazione. È l’opera di un poeta. Ci sembra che valga la pena di riconsiderarla, nel decennale della scomparsa dell’artista comasco, per rilevare che in essa ci sono pensieri profondi, malgrado la levità, la sommessa cautela con la quale sono stati suggeriti. E che certo non dovrebbero finire nello stesso polveroso fossato delle idee defunte e dei desideri perduti in cui sono naufragati finora tutti gli esiti di concorsi e incarichi. Tentativi dedicati al mai concluso passaggio da un approdo portuale al suo coperchio chiamato, piuttosto impropriamente, piazza.

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