La provincia, il lago e la nostra identità

A considerare il piano del presidente Roberto Maroni il destino dei comaschi sembra segnato: parte nel Cantone dell’Insubria, gli altri – da Argegno in su - in quello della Montagna. Messa così, compreso il richiamo evocativo ma poco concreto alla Svizzera, sembra una barzelletta.

E invece c’è poco da ridere perché la proposta di riforma sul tavolo, che pure è preliminare e come tale sarà soggetta a modifiche, prospetta un destino amaro ai comaschi più che a ogni altro lombardo.

Il Risiko del Pirellone è spietato: parte della nostra provincia diventerà la periferia di Varese, parte invece una propaggine della Valtellina. Qual è la logica? L’obiettivo della riforma è sì una razionalizzazione delle attuali dodici province ma è il minimo pretendere che si tagli con un criterio se non condivisibile almeno comprensibile. Non si gioca, né si bara sull’identità dei popoli e non c’è bisogno di spiegarlo a un leghista della prima ora come Maroni. C’è un solo comasco che si è mai definito insubre? O un laghée che si sente valtellinese? Suvvia, non scherziamo. Qui al più l’elemento vero di unificazione territoriale è il lago. Lo racconta oggi nelle pagine di cronaca un laghée colto e saggio come Basilio Luoni. «E’ il lago la nostra provincia» dice Luoni. «Il nostro lago è un simbolo, è un modo di vivere, il lago ti obbliga e ti costringe ad essere un laghée. E’ evidente, devi fare un po’ il contadino e un po’ il pescatore, che tradotto nella lingua odierna significa campare con il turismo che si riflette nell’acqua del lago. Direi proprio che è una identità forte, un grande flusso di stranieri da tutto il mondo si riversa qui perché pensa al lago, somma il nome di Como a quello del lago. E di certo non lo associa a quello di Varese». Luoni ha ragione anche se, certo, nel Comasco c’è anche molto altro. Senza contare i distinguo e le differenze da un paese all’altro.

L’identità, che non va presa per campanilismo, è un elemento che la riforma degli enti territoriali non può non tenere in grande considerazione. Non si tratta del resto di difendere solo cultura e tradizione. Se passasse una riforma assurda qual è quella prospettata, i comaschi si troverebbero a fare i conti con disagi e incongruenze molto concrete. Pensiamo solo al turismo che è settore non esattamente secondario nell’economia locale. In che modo fare promozione e marketing territoriale con un lago diviso in tre cantoni? Già ora, la miopia delle amministrazioni locali fa sì che Como dimentichi tante volte Varenna e che Lecco oscuri Bellagio o Tremezzo. Cosa potrebbe succedere quando ci metterà il becco anche Sondrio? Il turismo, ma non solo. Guai se la riforma della sanità, passata in sordina e sui cui non a caso tanti Comuni del lago si sono ricreduti, diventasse il modello per la futura riperimetrazione su cui, in prospettiva, è destinata a riorganizzarsi tutta la pubblica amministrazione periferica. I cittadini, comaschi e non, hanno il sacrosanto diritto di godere di servizi accessibili. E’ un non senso imporre lunghi trasferimenti su Sondrio o Varese a chi da sempre è stato abituato ad avere Como come riferimento a due passi da casa. L’integrità della provincia comasca è un principio non derogabile. E i comaschi, dopo il pasticcio della sanità su cui sarebbe più che opportuno un ripensamento, non possono rimediare altre fregature.

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