La rabbia non diventi
pratica corrente

Siamo sinceri: chi, rientrando in casa e trovandosi davanti a uno sconosciuto che rovista tra i cassetti e le cose care, non ha - paura a parte - la tentazione, la voglia di reagire, di afferrare il primo oggetto pesante a portata di mano? È facile parlare di ragionamenti, di tranquillità, di riflessione su ciò che potrebbe accadere. Ma poi, di fronte al fatto crudo, all’adrenalina che esplode dentro, le cose vanno in maniera ben diversa.

La statistiche parlano di furti in calo, ma si tratta di numeri freddi dietro i quali ve ne sono almeno altrettanti di episodi non denunciati o non consumati fino in fondo. La realtà, con buona pace del ministero, è quella che si raccoglie nei bar, nelle piazze, nei mercati e sui social. È quella che, se permettete, raccontiamo ogni giorno. Una sequenza di piccoli, grandi episodi che si consumano sotto gli occhi delle comunità, nei paesi come in città e che alimentano la tensione, fanno gravitare l’allarme sociale, alimentano una rabbia sorda.

E così accade che una coppia, al rientro a casa, scoprendo alcuni ladruncoli scelga con la pancia e non con la testa: ovvero impugni una spranga e picchi i delinquenti. È successo ieri a Cantù, ma nelle stesse ore cittadini armati di bastone hanno dato la caccia a un malvivente in mimetica a Lenno, idem a Mozzate e ovunque si moltiplicano i gruppi di sorveglianza di vicinato “armati” di WhatsApp.

Questo è il mondo che le fredde cifre che parlano di meno furti dimenticano. Una realtà che rischia di essere un fatale errore sottovalutare. Il perché è facile comprenderlo: cosa sarebbe accaduto ieri se chi ha picchiato i ladri o li ha inseguiti avesse esagerato, non avesse calibrato i colpi, o la folla arrabbiata avesse avuto la meglio sul malvivente magari preso? O, ancora peggio, se quest’ultimo, avesse reagito?

Ecco ciò che non deve succedere, ecco perché il voler ridimensionare l’allarme sociale può portare, presto a tardi, al dramma. La giustizia sommaria o quella sbrigativa che abbiamo visto in tanti western è ben diversa dalla Giustizia, quella con la maiuscola, che la nostra civiltà - e non solo quella giuridica - ci ha portato a conquistare. La reazione esasperata, la caccia al delinquente sono lo sfogo “di pancia", comprensibile di fronte alla violenza e alla prevaricazione di chi vìola l’intimità, ma che nessun Stato di diritto e nessuna istituzione possono giustificare. E che, neppure la coscienza individuale, può ammettere nelle sue categorie.

«La rabbia è una follia momentanea, quindi controlla questa passione o essa controllerà te» scrisse Omero in tempi in cui il ladro subiva punizioni non certo rapportabili con quelle odierne. Furore e paura sono i sentimenti che hanno animato la coppia brianzola e alimentano la silenziosa ribellione sociale.

Per impedire che queste pulsioni finiscano per controllare noi, come avvertiva il poeta greco, non c’è che una strada: arrivare prima, predisporre le condizioni affinché bande di disperati e violenti non abbiano praterie libere davanti a loro, ma sentano sul collo il fiato di uno Stato che deve rivendicare la sua presenza con atti concreti e non con numeri asettici, che sappia essere giusto con i giusti e giusto nel giudicare il reo, conscio che il diffondere la sensazione d’impunità equivale a una resa del suo potere d’imperio.

La situazione rischia di avvicinarsi troppo al punto di rottura. Sarebbe in ogni caso un errore, un dramma che nessuno deve auspicare. Niente nel nostro oggi vale la perdita di una vita umana, ma proprio perché quella “follia momentanea” non diventi pratica corrente, serve lo scatto orgoglioso delle istituzioni - politica, polizia, magistratura - che dia un segnale, più segnali di rassicurazione al cittadino spaventato e per questo preda della rabbia. Un segnale, non numeri.

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