La scuola non è fatta
per studiare come bruti

Diplomarsi a 18 anni. Una bella sfida, che tanti hanno già vinto, ben prima che l’attuale governo proponesse, come sperimentazione in attesa di imminente decreto, il liceo quadriennale. E le loro storie sono lì a testimoniare che può essere un vantaggio “perdere” (con tutte le virgolette possibili e immaginabili) un anno in meno sui banchi di scuola.

Ricordiamo un caso su tutti, perché ci tocca particolarmente da vicino, essendo nato a Como, in quello che adesso è, manco a farlo apposta, un liceo: lo scientifico Paolo Giovio, allora sede della Maternità, diretta da Giannino Porta (grande figura di medico, nonché marito della scrittrice Carla Porta Musa) quando il futuro scrittore venne alla luce il 27 settembre del 1934. Non erano passati 18 anni dal lieto evento - per la precisione, solo 17 e 10 mesi - e “il Peppo”, come lo hanno sempre chiamato amici e familiari, già poteva fregiarsi del diploma di maturità classica.

Qualcuno obietterà: ma Pontiggia era un uomo di un’intelligenza superiore alla media, come ha poi dimostrato per tutta la vita, nei suoi romanzi, nelle articolesse sul “Sole 24 ore” o semplicemente rispondendo a un sondaggio porta a porta sulla lettura, con la ragazza che lo proponeva convinta di essere presa in giro, fin quando quel signore corpulento dal sorriso gentilmente ironico non la accompagnò nell’“altro appartamento”, quello in cui vivevano solo i suoi libri. Ma Pontiggia la sua sfida di studente la vinse contro tutto e tutti, sostenuto certamente da una “bella testa” e spinto anche dalla necessità, siccome aveva perso il padre in uno dei primi atti della guerra civile nel settembre del ’43, pochi giorni prima del suo nono compleanno. Se, però, invece di una “missione (quasi) impossibile”, la maturità a 18 anni fosse un obiettivo che accomuna istituzioni, docenti e alunni? Non diventerebbe alla portata della maggior parte dei ragazzi?

Sarà tutto preziosissimo quello che si studia ogni giorno che si entra in classe, ma forse non tutto è essenziale, se “Il Peppo” e quelli come lui, dopo aver terminato il primo quadrimestre della quarta con la media dell’8 o più, riescono a concentrare nel secondo anche il programma del quinto anno. Forse c’è qualcosa che si può rivedere, sintetizzare e studiare diversamente nei licei (e anche nei cicli precedenti), senza per questo rischiare di creare mostri di ignoranza. Pontiggia, purtroppo, non può più raccontarci come ha fatto, ma tanti altri sì, compreso un preside comasco che si è addirittura diplomato con due anni di anticipo, poiché aveva anche incominciato le elementari a cinque anni.

Intanto vale la pena ricordare la testimonianza che la vedova dello scrittore ha portato agli studenti del liceo che lui aveva frequentato, dopo la morte del padre e la “fuga” da Erba: il classico Carducci di Milano. Proprio a proposito dell’esame di maturità precoce, ha sottolineato la «straordinaria forza di volontà» e «l’attitudine alle sfide» che permisero all’autore del “Giocatore invisibile” di diplomarsi in quattro anni. Due caratteristiche che tutti possono esercitare oggi, cogliendo quella del percorso di studi abbreviato non come una richiesta impossibile, bensì come un’opportunità. Come l’occasione per rivedere i programmi scolastici e il modo di fare didattica, rendendo flessibile il percorso per interagire il più possibile non solo con il mondo (non necessariamente del lavoro), ma pure con le passioni dei ragazzi.

Anche stimolare quella per la letteratura attraverso gli scrittori “vicini”, come è stato al Carducci con il progetto “Leggere Pontiggia”, può essere efficace più di tante ore spese a ridurre la poesia in prosa (rovinandole entrambe, spesso fino al punto di disamorarsene). Lo dice uno che al liceo classico Volta di Como si appassionò a “L’ora di tutti” di Maria Corti e seppe soltanto anni dopo, dalla medesima, che anche lei aveva frequentato il Volta, da giovane insegnante, provando più o meno la stessa insofferenza per certi programmi sterili spesso declinati con poca creatività (con lodevoli eccezioni, per fortuna in crescita). L’insofferenza di chi del suo romanzo bellissimo non aveva potuto approfondire la storia degli 800 martiri di Otranto, o quella della curiosissima autrice, ma aveva dovuto riempire pagine e pagine di analisi del testo alla fine di ogni capitolo. Può essere d’aiuto, in questa selva oscura della possibile riforma dei licei (e di quella ben più auspicabile dei cicli scolastici in generale), il passo della Commedia preferito dalla Corti: «Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza». Sostituite “viver” con “studiar” e la strada su cui procedere apparirà chiara. Come chiaro dovrebbe essere che intraprenderla a partire dalle superiori è un po’ tardivo. Meglio, già che abbiamo messo in discussione il “dogma” del liceo quinquennale, rivedere il percorso dalla prima elementare, cui Pontiggia arrivò già formato e appassionato grazie alla biblioteca paterna. Una fortuna che, ancora oggi, troppo pochi bambini hanno.

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