L’abbraccio mortale
dell’erede di Silvio

Il 5 maggio 2010, nella finale di Coppa Italia Inter-Roma che diede il via al mitologico Triplete della squadra di Mourinho, Francesco Totti venne espulso per un fallo durissimo, gratuito e folle ai danni di Mario Balotelli.

Tutti pensarono alla reazione di pancia a una qualche provocazione tipica di quel consesso di intellettuali che è il mondo del calcio, ad esempio un’ipotesi sulla vera professione della madre, sugli hobby segreti della sorella, sulle inclinazioni inconfessabili del padre o altre finezze concernenti razza, religione o misure sessuali che fecero scattare

il capitano come una belva per ribadire il proprio ruolo di maschio alfa del campo da gioco.

E invece no. Balotelli, con l’arroganza dei suoi vent’anni e naturalmente a sua insaputa – trattandosi di un ragazzotto di ignoranza clamorosa -, aveva pronunciato la frase più terribile che si possa rivolgere a un calciatore di trentaquattro: “Sei vecchio! Sei finito!”. E’ stato un momento altissimo, letterario, pedagogico - sfuggito a quasi tutti gli osservatori sportivi, troppo presi dal tifo per la propria squadra o dal zerbinaggio nei confronti del munifico patron -, da vera tragedia greca, da pagina scespiriana, freudiana, il momento topico nel quale il messaggero del tempo viene a dirti che il tuo spettacolo si è concluso, che non c’è più futuro davanti ai tuoi occhi, che d’ora in poi la speme avrà breve e la memoria lungo il corso. Tutto finito. Altri campioni da idolatrare, altri miti a cui i ragazzini chiederanno la maglietta autografata, altre facce da immortalare sulle copertine delle riviste.

Ecco, il fuori onda intercettato ieri dal sito di Repubblica tra Giovanni Toti e Mariastella Gelmini è in sostanza quella roba lì. Ora, non è il caso di perdere troppo tempo per sghignazzare sulla figuraccia su cui è inciampato il nuovo consigliori di Arcore, che in verità tanto sveglio non lo è mai stato, o sul consueto atteggiamento compunto da zia secca dell’ex ministro dell’Istruzione, e invece cogliere quanta verità drammatica ci sia dentro quel “Silvio non sa che fare con Renzi: ha capito che è un abbraccio mortale che ci sta distruggendo”. Esiste tutta una letteratura già molto rigogliosa sul lungo addio di Berlusconi se non alla politica di certo al ruolo di perno dell’agenda romana che aveva invece svolto sia dal governo che dall’opposizione negli ultimi vent’anni. I retroscenisti lo descrivono frustrato, depresso, avvilito dall’umiliazione che lo aspetta tra cinque giorni al tribunale di Sorveglianza di Milano, da quella infertagli da Napolitano in un colloquio freddissimo, dall’indifferenza dei potenti della terra con i quali ha tanto gigioneggiato per le sue sorti, dall’attesa della pena da scontare, dall’inaffidabilità della maggioranza dei suoi parlamentari, attaccati al carro solo per interessi personali. E soprattutto, dai sondaggi che indicano un crollo di Forza Italia quantificabile addirittura in un punto a settimana. Insomma, starebbe somatizzando i suoi mille guai, per la prima volta privo di forze, di energie, di quella capacità di rovesciare il tavolo e di inventarsi quel colpo di genio che lo ha salvato così tante volte in passato.

Berlusconi somatizza Renzi. Lo soffre. Perché quello lo soffoca, lo brucia sui tempi, lo svuota, lo raggira. Lo copia e intanto lo supera. Lui scattista, l’altro triathleta. Lui televisione, l’altro social. Lui venditore, l’altro venditore al cubo. Lui brigante, l’altro brigante e mezzo. Lui piacione, l’altro piacione all’ennesima potenza. Soprattutto: lui vecchio, l’altro giovane.

Ha avuto gioco facile, quel genio malato del Cavaliere, con tutta la pletora di leader o supposti tale che gli hanno ingombrato la strada in questo ventennio: Amato, Dini, D’Alema, Rutelli, Veltroni, Prodi vincente sì due volte ma subito dopo perdente, Scalfaro, Ciampi, Napolitano, Bersani, Monti, Letta, Fini, Tremonti e tutti gli altri ancora. Perché quella lì era tutta roba del Novecento, per quanto in alcuni casi di grande valore intellettuale, tutta politica politicata e politicante, tutti parametri da scuole classiche, da cultura istituzionale, da blocco di interessi marmorei e inscalfibili, da galateo consono e condiviso e rispetto a tutti questi – piacesse o non piacesse – lui era sempre stato un passo avanti. Sempre in sintonia con la base, la gente, il popolo bue o anche no, la casalinga di Voghera che non voleva più essere intermediata dal mandarino sindacale o partitico e bla bla bla, tutta un’epifania che ha fatto la sua fortuna e che al contempo gli ha fatto distruggere il progetto di una destra europea in questo paese. Attirando su di sé il disprezzo e l’irrisione delle destre serie, alle quali non è sembrato vero di veder sintetizzati in un uomo solo tutti i luoghi comuni che da sempre appiccicano sulle spalle di noi italioti cialtroni e spaghettari.

Ora non più. Ora c’è quell’altro, nei confronti del quale le classiche armi che si potevano usare contro un D’Alema appaiono del tutto spuntate. L’humus è lo stesso, la capacità atomica di sparare balle identica, la velocità di smontare i pezzi della tradizione vetero-consociativa tripla, e ogni giorno che passa, ogni ossessiva, infinita e naturalmente ossequiosa (chissà perché?) comparsata televisiva sembra ripetere alle orecchie dell’anziano acciaccato l’insulto di Balotelli a Totti. Ce la fa ancora il Cavaliere a reggere lo scontro? Quante campagne elettorali pensa di poter gestire? Quanti incontri pensa di poter ancora sostenere? Non ci sono incontri per i vecchi pugili. E in questo momento, almeno in questo, anche un personaggio discusso e discutibile, spregiudicato e fanfarone come lui strapperà di certo un piccolo moto di commozione persino al più terribile dei suoi nemici. Perché arriva per tutti il momento del commiato e di solito quello che ti pianta il coltello nella schiena è tuo figlio, quello che hai creato a tua immagine e somiglianza. C’è anche questo sale nel libro della vita.

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