Le montagne del Lario
Un tesoro dimenticato

Dai monti veniamo, noi comaschi, ed è giunto il momento di tornare a viverli e a prendercene cura, se non vogliamo che diventino, per usare una parola semanticamente legata proprio ai villaggi protostorici della Spina Verde, la nostra necropoli. E anche, più prosaicamente, se non vogliamo perdere delle occasioni per migliorare la qualità della vita e dell’ambiente che ci circonda, a favore nostro, di chi verrà dopo di noi e dei turisti che, sempre più numerosi, cercano luoghi dove vivere esperienze a contatto con la natura.

Dopo decenni abbiamo recuperato la balneabilità di gran parte del Lario, ora bisogna alzare lo sguardo e fare lo stesso con le colline e le montagne che lo circondano. A partire dal capoluogo. Como non finisce nel centro storico e nemmeno a Lazzago. Arriva fino ai 1100 metri di altitudine, come ci si ricordò improvvisamente nel 2010 quando l’amministrazione Bruni autorizzò l’installazione di un traliccio alto 60 metri in via Alle Colme, che nell’immaginario collettivo, ma solo in quello, appartiene a Brunate, trovandosi oltre la frazione di San Maurizio... e invece è ancora giurisdizione di Palazzo Cernezzi anche dove sorge la Baita Bondella. Una volta i comuni avevano interesse a possedere una zona a monte, utile per coltivare e procurarsi la legna per il riscaldamento, per fare i mobili e per l’edilizia. Oggi, come ci ricorda l’agronomo Angelo Vavassori sulle pagine del nostro supplemento domenicale “L’Ordine”, nel primo semestre del 2017 il Comune di Como ha raccolto mille tonnellate di legname nel primo bacino del lago, trascinate giù dai versanti dalle piogge, mentre i mobilieri comprano materia prima dall’altra parte del mondo e i nostri boschi (sfruttati solo per il 10% di quanto consentito dalla normativa) sono appesantiti da specie infestanti.

L’allusione alla necropoli non è esagerata, visto che di frane e smottamenti ne abbiamo già avuti diversi negli ultimi anni in città: al Baradello, a Civiglio, a San Donato, per citare i casi sotto gli occhi di tutti (o almeno di molti) e finiti sui giornali. Ma provate a passeggiare, o ad abitare, nei nostri boschi e troverete che il sentiero per Blevio, segnalato da un cartello del Cai in fondo a viale Geno, è interrotto da una frana, che lungo quello del Falchetto (da salita Peltrera a Brunate) il muro di contenimento del terreno a lato ha ceduto, che la stessa salita San Donato, prima mulattiera tra Como e il “Balcone sulle Alpi” costruita nel 1817 e ancora abitata in più punti dall’incrocio via Grossi/via per Brunate all’ex eremo francescano di Garzola Superiore, conta diverse frane e crolli dei muri a secco che una volta segnavano i terrazzamenti, fino a poche decine di metri sopra via Crispi. E, naturalmente, senza nessuna rete a proteggere le case e la strada dai massi.

La scritta a caratteri cubitali “1984”, che un writer ha impresso su un’abitazione abbandonata in Salita Peltrera, quella finita l’anno scorso agli onori delle cronache per l’inchiesta costata l’arresto a un dirigente comunale, è particolarmente simbolica: dagli anni dei “paninari”, in cui alla domenica si è cominciato ad andare nei centri commerciali invece che a camminare in montagna, i nostri boschi sono caduti nell’oblio. Basti pensare che proprio un sindaco di Como di metà anni Ottanta abitava in una villa su un’altra via pedonale che sale verso Brunate, la Bertacchi, e oggi, dopo svariati tentativi di venderla per cifre sempre più irrisorie, chi passa la trova con il cancello forzato e alcune finestre aperte. Ma gli amministratori del Terzo millennio nemmeno si ricordano più di avere nel loro stradario anche quelle preziose vie a scalini che connettono il centro della città con i suoi parchi naturali ai lati, se l’azienda che ha in mano la manutenzione del verde non passa mai da via Bertacchi (paradossalmente, lo scorso luglio ha assicurato al Comune di averlo fatto per consentire il transito della passeggiata creativa del Teatro Sociale sulle orme di Giuditta Pasta, e invece era impraticabile e si è dovuto cambiare percorso) né dalla San Donato, dove provvedono i residenti e dove è stato dimenticato persino l’allacciamento alla fogna (a 500 metri in linea d’aria dal lago e con il torrente Valduce che scorre a fianco e sfocia a Sant’Agostino...).

Ma amministratori e cittadini non vengono da pianeti diversi: gli uni dovrebbero essere espressione degli altri. E in quanto a disattenzione per i boschi e le colline lo sono certamente stati. Ora è importante che la “cinghia di trasmissione” funzioni anche al contrario, per recuperare e valorizzare questo straordinario patrimonio. Segnali ce ne sono molti: dai volontari attivi sui monti di Blevio e Torno fino alla Brianza, che sta riscoprendo i paesaggi frequentati ed eternati da Segantini, dal capoluogo (dove i cittadini hanno premiato con il voto sul sito comunale il progetto di un parco letterario e paesaggistico dal Duomo alla biblioteca di Brunate, proposto da chi scrive assieme ad altri appassionati) alla Tremezzina (che significativamente ha inaugurato il nuovo festival LacMus sul Sacro Monte di Ossuccio).

Tra i tanti progetti in corso, pare bello chiudere ricordando quello dell’associazione OverLaps: l’opera di landart realizzata con il tagliaerba dal tedesco Ralf Witthaus in cresta ai monti di Musso e inaugurata il 29 luglio. Si intitola “Il tesoro smarrito”. Se tutti i privati e gli amministratori sensibili al tema sapranno fare squadra e massa critica, tra qualche anno forse potremo celebrare “Il tesoro ritrovato”.

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