Lo scontro europeo
rinforza Renzi

Matteo Renzi ha dato battaglia a Bruxelles e torna in Italia con un compromesso accettabile. Al termine di una lunga trattativa con i vertici della Ue, il premier italiano spunta una correzione dello scostamento dal deficit pari allo 0,3 per cento, inferiore di due decimali rispetto a quanto chiesto inizialmente dalla commissione .

La discussione è stata «tosta e accesa» e a Bruxelles è rimasto agli atti un atteggiamento battagliero della delegazione italiana che, ha detto il presidente del consiglio, «non viene a prendere lezioni e reprimende». L’asse con Cameron nel protestare per i contributi extra chiesti dall’Europa a Londra e Roma ha ulteriormente drammatizzato una vertice non facile. La battuta di Renzi sulle riunioni Ue che farebbero diventare euroscettici persino De Gasperi e Adenauer la dice lunga sullo scontro che si è consumato a Bruxelles.

Dalla sua, Renzi ha potuto contare sul sostegno totale di Giorgio Napolitano, che in questi giorni ha speso l’ampio credito di cui gode in Europa per avallare le scelte di politica economica compiute dal governo. Napolitano ritiene che il dogma dell’austerità abbia fatto il suo tempo e che ormai sia tempo di indirizzare la rotta verso l’adozione di misure che favoriscano la crescita e lo sviluppo.Il capo dello Stato sa che in Europa i fautori del rigorismo a oltranza devono ormai fare i conti con una stagnazione che non allenta la presa e vede nella mancanza di ogni riferimento all’austerità nella lettera inviata al governo dal commissario Katainen il segno che a Bruxelles le vecchie certezze sono meno salde di un tempo.

L’onorevole compromesso di Bruxelles permette a Renzi di guardare con maggiore serenità alle prossime scadenze italiane. La sfida della minoranza Pd, che in gran parte sarà oggi in piazza con la Cgil per chiedere un cambiamento del jobs act,non sembra impensierirlo più di tanto, anche perché i suoi oppositori interni non hanno la compattezza che servirebbe per metterlo davvero in difficoltà. Il fatto che il leader di riferimento della fronda antirenziana nel Pd, Pier Luigi Bersani, non si unirà ai manifestanti della Cgil è il segno che la minoranza non vuole le barricate ma preferisce lasciarsi la porta aperta per una ricomposizione delle ostilità quando si tratterà di esaminare e votare il Jobs Act alla Camera.

Anche il ritrovato attivismo di Berlusconi non dispiace a Renzi. La scelta di riposizionare Forza Italia sulle unioni civili e sulla concessione della cittadinanza ai figli degli immigrati avvicina ulteriormente il partito del Cavaliere al governo. Anche le critiche alla legge di stabilità che vengono da Forza Italia non fanno presagire una lotta parlamentare all’ultimo sangue.

A cascata, le ultime sortite di Berlusconi si ripercuotono in tutto il campo del centrodestra.

Salvini, bocciato dal Cavaliere come futuro leader del centrodestra, rafforza il suo progetto di mettere tra parentesi la Padania e rilanciarsi come partito nazionale anti-tasse e anti-immigrati; mentre gli alfaniani, sospettando che le continue aperture di Berlusconi verso Renzi nascondano il progetto di prendere il loro posto in maggioranza, si stanno arroccando in una difesa identitaria che non riesce però a nascondere le molte spinte centrifughe presenti nel partito.

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