Migranti, il grande
cuore non basta

Di fronte all’emergenza profughi che ha investito Como, c’è qualcosa che stupisce al di là di ogni immaginazione: l’infinita catena di solidarietà che si è mossa fin dai primi istanti.

Stupisce soprattutto perché non è scontata.

Non è scontato che di fronte al bisogno la gente si muova. Esca di casa con i sacchetti pieni di quel che ha e si muova verso chi ha bisogno. Non sa nemmeno chi siano, da dove vengono, eppure si muove e continua a muoversi. Sarebbe lunghissimo l’elenco di parrocchie, istituti religiosi, organizzazioni che hanno messo a disposizione la

propria esperienza e la propria voglia di fare.

Si calcola che in questi mesi almeno 500 volontari siano stati coinvolti nell’opera di solidarietà verso i migranti.

Una catena infinita di persone che hanno risposto semplicemente ad un bisogno; dietro ai banchi di una mensa a servire il cibo, nella tendopoli a far giocare i bambini o ad insegnare l’italiano. A distribuire vestiti o a garantire un minimo di assistenza sanitaria

Da una parte il volontariato organizzato, dall’altra la spontaneità della gente qualunque. Uno spettacolo da guardare con gli occhi spalancati e pieni di gratitudine.

Ma c’è qualcosa che non quadra, non solo a Como, ma nel nostro Paese. I nostri politici si riempiono la bocca con la parola più abusata di questi tempi: accoglienza. Ma diciamoci la verità, anche se amara. Se non fosse per il volontariato questa accoglienza sarebbe stata un vero disastro.

Si calcola che ad oggi in Italia vengano assistiti oltre 160mila immigrati. E le cronache parlano di centri di raccolta che hanno superato ogni limite di sopportazione.

C’è una sensazione difficile da scacciare. Sembra quasi che chi ha responsabilità politiche speri sempre che ci sia qualcuno che gli risolva i problemi. Faccia conto che il buon cuore da solo basti ad affrontare un’emergenza epocale. Perché sia ben chiaro, ed è meglio che tutti ci si renda conto, che quella delle migrazioni non è più un’emergenza occasionale. Ormai è strutturale, non avrà fine domani e neanche dopodomani.

Non basta far entrare migliaia di persone nel nostro Paese in nome di un’accoglienza soltanto teorica e poi abbandonarle, chiuderle in qualche centro di raccolta e dimenticarsi che esistono. Rispettare la dignità delle persone significa mettere a disposizione una reale possibilità di costruirsi un domani che è fatto di lavoro, casa, integrazione.

Ecco perché il volontariato da solo non può bastare, non può reggere l’urto di un fenomeno che deve impegnare le risorse migliori di questo Paese.

Il cuore della gente comasca e delle migliaia che in Italia regalano fette di vita in nome della solidarietà, rappresentano il primo, indispensabile baluardo. Senza del quale, ripetiamo, l’emergenza sarebbe stata ben più drammatica.

Ma poi occorrono politiche lungimiranti, accordi che coinvolgano l’intero sistema europeo, stanziamenti adeguati, risorse autentiche e non parole.

E nemmeno i singoli Comuni possono essere lasciati da soli ad affrontare una situazione che sta diventando sempre più complicata.

Forse è vero, dipende dal cuore.

Bisogna sperare che i nostri politici imparino dalla gente qualunque che, prima di parlare, esce di casa con il sacchetto pieno di quel che ha.

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