Politici,
facce
da babbeo
e giornalistI
Politici, babbei
e giornalisti

Fino a qualche giorno fa, Angelino Alfano era un babbeo, una testa di legno, un signorsì da quattro soldi, un miracolato del sottobosco della politica saltato fuori, con quella faccia e con quel nome, da un romanzo di Sciascia, uno zerbino multiuso che il Grande Capo arrotolava e srotolava a piacimento per far pulire le scarpe a cani, porci e salmerie, il simbolo dell’eterna Italia servile e lecchina pronta a tutto - a farsi prendere a torte in faccia, a giocare allo schiaffo del soldato, a fare il cucù dentro l’armadietto della caserma, a recitare la poesia di Natale vestito da pagliaccio - pur di ottenere un grado, un bonus, uno strapuntino.

E che risate, che sghignazzate, che sganasciamenti nelle redazioni dei giornaloni nazionali à la page nel sentire il nome di Angelino Alfano, il ministro alla cui insaputa sequestravano la moglie del dissidente kazako e che si inventava lodi e controlodi, regolarmente spernacchiati dalla Consulta, pur di salvare la poltrona del Padrone. Insomma, la barzelletta vivente attorno alla quale aveva ormai iniziato a propagarsi tutta una letteratura ridanciana grazie alla quale ci si dava di gomito al bar davanti a un giro di bianchi sporchi.

Ancora qualche tempo, e anche l’ultimo degli ubriachi si sarebbe sentito autorizzato ad entrare a Palazzo Chigi per tirargli un gatto morto sulla scrivania.

Adesso, dopo il ruggito del coniglio dell’altro giorno fa, è diventato un genio. Un leader. Uno scienziato. Un grand’uomo. Un cervellone. Uno che ha trovato il quid e, nel momento di massima crisi della patria, ha saputo dare corpo e anima a un’intera generazione, quell’onda lunga e montante dei quarantenni ormai maturi per la presa del potere in quanto deideologizzati e privi del retroterra atavico dell’Italia del secondo dopoguerra, della Dc e del Pci, insomma, quella classe d’età che è stata giovane negli anni Ottanta e che sa tarpare le ali ai falchi e agli estremisti perché allineata e coesa per il bene della nazione in un’ottica di rinnovamento di un centrodestra moderno e riformista e tutta una serie di litanie che a scorrere certi peana e certe piroette da Cirque du Soleil c’è da tenersi la pancia dalle risate. Conoscendo i polli, basta aspettare. Se dovesse arrivare la pugnalata finale a Berlusconi, state certi che scatterà il paragone, a questo punto storico, tra Alfano e Churchill, Alfano e Roosevelt, Alfano e De Gaulle, Alfano e il generale Giap, Alfano che spiega l’economia a Keynes, Alfano che bonifica le paludi pontine, Alfano che scopre le Indie occidentali, Alfano che sbarca su Marte, Alfano purista del burlesque, Alfano che accarezza bambini biondi, Alfano che invade la Polonia. Che pena…

In fondo, ha ragione Alessandro Sallusti, giornalista molto discusso ma di raro talento - e al quale chi scrive, per quel che vale, conferma affetto e riconoscenza visto che pare che il cosiddetto statista Alfano ne abbia chiesto la testa come primo atto della nuova stagione liberale che ci attende - quando qualche sera fa diceva che i cosiddetti analisti di politica, di politica non capiscono un bel niente, perché la realtà vera è sempre troppo semplice per essere compresa da chi fa delle fumisterie e del dietrologismo la propria ragione di vita. Questa è una grande verità. Grande, ma parziale. Perché parte dei Pulitzer che infestano le redazioni è in effetti afflitta da presbiopia intellettualoide, per l’altra parte, invece, quella maggioritaria, si tratta molto più semplicemente di paraculismo. Cioè, vediamo un po’ chi vince, che poi ci accodiamo tutti quanti a cantarne le lodi che sia mai che caschi qualche avanzo da tavola anche per noi. Pratica nella quale la nostra meravigliosa categoria - che in quanto a spirito di indipendenza, e voglia di lavorare, non prende lezioni da nessuno - eccelle senza termini di paragone e grazie alla quale personaggini che dovrebbero scaricare cassette al mercato - ex leghisti della prima folgorati sulla via del movimentismo antagonista, adoratori della Madonnina infilzata col vizietto dei servizi segreti e liberali tutti di un pezzo con la laurea di Alberto Sordi - hanno costruito carriere profumatissime e mirabolanti.

Ora, è vero che in battaglia - e quella politica e giornalistica parlamentare a tutti gli effetti lo è - il nemico del mio nemico è mio amico. Ma da qui a dipingerlo come uno statista al quale affidare le speranze della nuova Italia della terza Repubblica c’è veramente da andare fuori di testa. Anche perché se qualcuno vede segni di reale rinnovamento nella cosiddetta generazione dei quarantenni che entra in pista alzi pure la mano: Letta sembra il nuovo Forlani, Alfano il nuovo Casini e Renzi il nuovo Veltroni. Sai che roba. E allora la verità vera è che la incombente terza Repubblica è solo una prosecuzione della seconda con altri mezzi, che era già a sua volta una caricatura della prima, e nelle quali tutti gli scontri sanguinosi e virulenti e che si consumano di giorno all’urlo “o di qua o di là” vengono poi regolarmente rabberciati di notte dove, davanti al patto della crostata o del culatello, ci si mette sempre d’accordo alla faccia del popolo bue, che ancora se la beve la storia della sinistra e della destra l’un contro l’altra armate.

E anche il ruolo dell’informazione dovrebbe tentare disperatamente di recuperare un minimo di dignità, perché se uno viene considerato un servo per dieci anni non è che poi solo perché ha dato una spallata - tremebonda e non ancora decisiva - al vecchio bollito a fine corsa che diventa di per sé un luminare.

Qual è stato il suo grado di indipendenza fino ad ora? Quale il suo profilo culturale e politico? Quale il suo grande progetto, oltre a quello di far fuori falchi da Bagaglino, valchirie starnazzanti e giornalisti, a torto o a ragione, non allineati? Dov’è questa grande rincarnazione di Edipo, di Amleto, di Karamazov? Qui più che Dostoevskij, forse torna utile Longanesi: non sono le idee che spaventano, ma le facce che le rappresentano.

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