Scartoffie e timbri
uccidono le aiuole

Mancano i soldi, mancano i soldi, mancano i soldi. Parli con un amministratore comunale e ti risponde così. Passi a un altro ma la storia è sempre quella e in effetti di risorse per la cura delle città ce ne sono sempre di meno. Fortuna che, perlomeno da queste parti, non mancano sensibilità sociale, generosità, desiderio di mettersi in gioco e fare qualcosa di concreto a beneficio della comunità. Ci sono le aziende che sponsorizzano e i privati che donano. E, anche in questi anni difficili, ce ne sono stati tanti che hanno provveduto ora a piccoli, ma non meno significativi interventi, ora a opere molto importanti come è stata, lo scorso anno, l’installazione dell’opera di Libeskind in fondo alla diga foranea. Il dono è proprio dei comaschi e un ulteriore esempio in questo senso ci sarebbe stato, a breve, con il rifacimento del verde in piazza Cavour dove c’era in ballo un progetto ambizioso per rendere più accogliente il salotto cittadino sul lago.

Non si trattava di un intervento da due soldi, il conto finale era di circa 60mila euro. Troppi per il Comune, non per un privato interessato a farsi carico dei lavori. La disponibilità era concreta e in un Paese normale sarebbe stata colta al volo per passare in tempi rapidi dalle parole ai fatti. Ma questo non è un Paese normale perché quando c’è la reale possibilità di risolvere i problemi, gli enti pubblici, in virtù di un malinteso principio di trasparenza, si trovano costretti a fare di tutto per complicare le cose. Lungaggini, procedure, permessi, obblighi e balzelli, compreso quello, oggettivamente duro da comprendere, di dover pagare l’Iva su ciò che si dona. Grazie alla burocrazia ci siamo giocati piazza Cavour ed è magra consolazione constatare che non si tratta di un problema solo comasco. Lo scorso anno ha destato scalpore, anche nella complicatissima situazione della Sicilia, la vicenda del sito archeologico di Selinunte, un autentico gioiello, capolavoro anche nell’esercizio della cattiva gestione. Templi e rovine, grazie all’amministrazione regionale, sono in condizioni penose ed era sembrato provvidenziale l’interesse di un’azienda locale a sponsorizzare la prima tranche di un importante progetto di valorizzazione. Certo, il caso siciliano batte tutti perché la donazione (50mila euro circa) ha dovuto affrontare un vero e proprio calvario di riunioni, conferenze di servizio, bolli e pareri tecnici e persino di spese legali. Sì perché il privato, nell’arco di due anni buttati in via nella infinita trafila dei permessi, alla fine è stato pure costretto ad affrontare una battaglia legale.

Deve essere stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso perché l’obbligo di pagare pure la parcella agli avvocati ha fatto desistere anche il più impavido dei donatori. Risultato, Selinunte continua ad essere simbolo di incuria e lo sponsor è filato via a gambe levate. Ce lo meritiamo e non potranno che continuare ad accadere cose del genere se l’approccio del pubblico di fronte al privato continuerà a essere quello del sospetto a prescindere. Uno è pronto a mettere mano al portafogli e prima ancora di farlo è chiamato a chiarire che non ha secondi e terzi fini ed è disposto a sostenere, accanto alle spese dell’opera, anche quelle per così dire accessorie del prima – la trafila burocratica – e del dopo – gli obblighi di manutenzione. Siamo diventati campioni nel complicarci la vita, arriveremo al divieto di donare.

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