Senza riforme
l’Europa non ci aiuta

All’Ecofin di Milano una frase del ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble ha chiarito che non esiste una mancanza di finanziamenti , ma di fiducia. Così finalmente capiamo il perché di tutte le titubanze, delle lentezze, delle resistenze tedesche. Non sono problemi tecnici e nemmeno economici . Tutti sanno anche in Germania che la via maestra per uscire dalla crisi è il rilancio della domanda.

Per far ripartire i consumi occorre stimolarli con una riduzione delle imposte. Chi sostiene i costi di una diminuzione delle entrate di bilancio? Se i partner dell´Italia avessero fiducia potrebbero o autorizzare uno sforamento del limite del 3% di deficit oppure finanziare con eurobond, cioè obbligazioni garantite dall´Unione europea oppure con acquisti di titoli di Stato nazionali da parte della Bce. Non succederà perché i paesi del Nord si oppongono. Non hanno fiducia. Il capo del governo italiano rivendica dalla Fiera del Levante di Bari i trecento miliardi di investimenti promessi dal presidente della Commissione europea Jean Claude Juncker. Vanno bene e ci saranno ma hanno bisogno di tempo per entrare in circolo e del resto il programma della Commissione è per i prossimi cinque anni. Mentre qui ogni giorno è una scottatura in più. Il calo dell´attività produttiva si misura in un quarto dall´inizio della crisi cioè il 25% e lo stesso dicasi degli investimenti. La diminuzione dei posti di lavoro è la conseguenza. Un altro anno così e il malcontento sociale scoppia. Nessun governo può tenere se non si vede a breve termine un segno d´inversione della congiuntura. Il paese è imballato ostaggio di se stesso, dal familismo amorale che condanna la vita pubblica alla corruzione di cui ogni giorno la cronaca ci dà conferma, dalla democrazia clientelare, dalla burocrazia asfissiante, dai blocchi di interesse che regolarmente sabotano qualsiasi tentativo di riforma. Ne sanno qualcosa i governi di Mario Monti e di Enrico Letta che tanta speranza avevano suscitato in Europa e che sono affondati nella palude dell´immobilismo. Vista da Bruxelles o da Berlino la seconda industria manifatturiera d’Europa appare in una crisi irreversibile e solo un colpo d’ala della politica può fornire speranza di un rilancio. Così si spiega la speranza che suscita non solo in Italia il governo Renzi. Dice il governatore della Bundesbank Jens Weidmann : guardo con favore all’agenda di riforme annunciata dal governo serve però un ampio consenso affinché questa agenda funzioni. Il falco di Berlino mette il dito nella piaga. Al capo di governo italiano sta per scadere il tempo, dovrà prima o poi ingoiare la pillola amara: fare riforme vuol dire scontentare e quindi perdere consensi. Chi non ricorda il tentativo di liberalizzazione del mercato delle professioni, a partire dagli avvocati per arrivare ai tassisti. Come il provvedimento arrivò in parlamento subito le cordate delle corporazioni si misero al lavoro e ne uscì una riforma dimezzata. Non vi è che una strada per battere le resistenze delle lobby parlamentari: fare appello al paese, creare un movimento d´opinione che si appelli al cambiamento e metta in minoranza gli interessi costituiti che nel nome dei diritti acquisiti non vogliono rinunciare a nulla dei privilegi delle rispettive caste. È questa la causa dei mali del paese e non l’avversità di chi all’estero ci guarda con sospetto. Tutti in Europa hanno bisogno di un’Italia ristabilita ed aspettano solo un segno concreto di ravvedimento riformatore per concedere la fiducia sin qui negata. La grande scommessa del governo Renzi è tutta qua: se va a Bruxelles con le riforme anche i cordoni della borsa si riapriranno.

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