Un gioco sull’Expo
per capirne l’utilità

Facciamo un gioco o, ancor meglio, come accadrebbe in ambiti scientifici o sociologici, proviamo a immaginare una simulazione. Per ottimismo, l’approccio che utilizzeremo sarà comunque ludico e, appunto per giocare a carte scoperte, diciamo subito che lo scenario sarà quello oggi molto controverso e dibattuto di Expo 2015.

Come per magia o, secondo i punti di vista, per pura scaramanzia, abbiamo portato avanti le lancette del tempo di almeno sette mesi e, perciò, a Expo terminato da un paio di settimane, il bilancio che possiamo trarre è inaspettatamente superiore alle più ottimistiche previsioni, persino maggiore di quelle auspicate prima di tutto dai funzionari e poi dai rispettivi presidenti delle Camere di Commercio territoriali. I venti milioni di visitatori preventivati sono puntualmente arrivati da ogni parte del Mondo e, anche la ricaduta economica, d’immagine e turistica sulle nostre provincie è stata straordinaria. Non solo, nonostante il parere pessimistico di qualche critico osservatore, il 1° Maggio tutti i padiglioni hanno aperto i loro battenti in grande spolvero, per la gioia generale dei visitatori e la frenetica soddisfazione dei diversi esponenti delle Istituzioni.

La Carta di Milano sul diritto al cibo per tutti è stata sottoscritta da “chi di dovere” con spontaneo entusiasmo, persino con proponimenti visionari e spirito d’inclusione. E Papa Francesco è intervenuto in collegamento diretto tv con un discorso profondo. E il messaggio non omologato della Caritas Internazionalis contro il consumismo, per la condivisione universale del cibo, è stato apprezzato dai potenti della Terra e acclamato coralmente da McDonald’s e da Coca-Cola.

Carlo Petrini, insieme a Slow Food, ha con successo dato voce a migliaia di giovani contadini e, così facendo, ha dimostrato che in fondo, nonostante il pornografico dilagare televisivo di MasterChef, “mangiare è un atto agricolo” e, dopo questa edizione di Expo, anche un fatto sociale e politico. Obiettivo raggiunto, verrebbe da dire e, almeno nel nostro gioco, come si recita in queste situazioni, “tutto è bene quel che finisce bene”. Un lieto e trionfale finale, dunque, nonostante i piccoli pasticci in cui siamo incorsi a “casa nostra”, dove, se pensiamo ad esempio che, partiti con faraoniche speranze di realizzare un mega padiglione targato Como, Lecco e Sondrio, in seguito perduto per strada, a soli quindici giorni dall’apertura di Expo, la provincia di Sondrio, con a capo la sua Camera di Commercio, per apparenti motivi “burocratici” sembrava non fosse ancora certa di poter partecipare attivamente al grande evento. A conti fatti sembrerebbe quindi che in ogni caso “ l’ottimismo della volontà” abbia prevalso sul “pessimismo della ragione” e che, tutti felici per aver mangiato per i sei mesi di Expo i pizzoccheri e la bresaola “valtellinese”, insieme al taleggio valsassinese e ai lariani missoltini, quest’avventura sia stata portata a termine “alla grande”, con singolare stile e professionalità. In realtà, come ricordano gli anziani, non sempre è tutto oro quello che riluce, tanto è vero che i nostri conti o, almeno i miei, non tornano sino in fondo, per il semplice fatto che alla fine di questo nostra ingenua simulazione mi sono rivolto una semplice domanda, forse per alcuni fastidiosa, ma assai precisa e concreta.

“Nutrire il pianeta” e contemporaneamente generare “energia per la vita” sono proponimenti strategici e ambiziosi. Prevedono visioni planetarie e, appunto per questo, con meditata modestia mi chiedo: cosa significa declinare tutto questo per i nostri territori, possibilmente in connessione con le scelte economiche ed ecologiche da fare nel futuro? Che cosa deve comportare, da qui ai prossimi dieci anni nutrire le nostre provincie, fornire alimenti alle nostre mense scolastiche e ospedaliere, ai nostri mercati rionali, ai ristoranti e ai super mercati, in termini di scelte strategiche, operative, agricole e ambientali, economiche e sociali, sanitarie, artigianali e politiche,?

Che cosa resta e quanto rimarrà di Expo, dei suoi valori, dei grandi investimenti effettuati, delle promozioni organizzate dalle nostre variegate Agenzie e Istituzioni? Quanto e che cosa possiamo utilizzare di questo cospicuo sforzo di energie economiche e lavorative, oggi e nel futuro, per dare continuità al tema di nutrire in modo sostenibile le generazioni che verranno?

Alimentare il pianeta è una suggestione complessa, che avrebbe dovuto e potuto trovare da parte dei nostri territori e delle rispettive classi dirigenti uno spirito differente di coinvolgimento degli attori sociali, di programmazione strategica e di decisione in merito a nuovi e più coraggiosi paradigmi.

Per fortuna i percorsi su cui lavorare e progettare per i prossimi anni sono molti e differenziati, magari ispirandosi creativamente a quello che di virtuoso e di positivo già esiste, ascoltando la voce dei produttori, dei vignaioli, degli allevatori, dei contadini, dei pescatori, degli imprenditori e dei membri della comunità scientifica.

L’innovazione applicata in prestigiosi modelli produttivi di cibo locale, l’economia reale, “il saper fare” di molti artigiani è sotto i nostri occhi, richiederebbe “solo” di essere intercettata, valorizzata e narrata come si deve. Dalla concreta e progettuale viticoltura in Valtellina, sul Lario e in Brianza, per arrivare alla coltivazione dell’ulivo e alla produzione dell’olio, passando per quello che, nel futuro, rappresenterà una grande risorsa e un laboratorio a cielo aperto come il sistema-lago. Forse, resettando la nostra simulazione, possiamo ancora tentare di trasformare l’esperienza di Expo in qualcosa che vada oltre la sagra di paese, la vetrinetta dei cosiddetti prodotti tipici, la promozione turistica “patinata” a fianco dell’esserci, tanto per esserci. Non ci rimane che essere Expo ottimisti, anche se, lo abbiamo già ricordato, qualcuno parlò un tempo di “ottimismo della volontà” che, con buon senso, diciamo noi, deve nel nostro caso saper fare i conti con il “pessimismo della ragione”. In fondo, anche per Expo, per una crescita felice delle idee, per la passione che portiamo verso le nostre terre, basterebbe proprio poco per rendere eccezionale la normalità.

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