Una nuova dittatura
Quella definitiva

All’inizio degli anni Novanta, l’economista Francis Fukuyama scrisse un saggio, destinato a diventare celeberrimo, dedicato alla fine della storia. Il concetto chiave si basava sulla tesi storiografica, scaturita dagli eventi formidabili del 1989 e la conseguente caduta dell’impero comunista, secondo la quale con il chiudersi del Novecento avremmo assistito alla fine dell’evoluzione politica, sociale ed economica dell’umanità. Da lì in poi, non sarebbe stato possibile alcun cammino fuori dall’alveo del pensiero liberal-social-democratico. Il Paradiso in terra.

Il libro suscitò grandi polemiche e infervorate discussioni, ma bisogna ammettere che il crollo della più aberrante e sanguinosa delle ideologie totalitarie, molto più del nazismo, dei fascismi o dei regimi reazionari classici, sembrava spalancare le porte di un mondo nuovo finalmente liberato dalle pastoie del terrore e della coercizione orwelliana. La fine dell’ideologia, la bestia, il mostro, il demonio che ha setacciato tutta la storia del secolo breve, mietendo centinaia di milioni di morti, stermini di massa mai visti prima, una manipolazione e un indottrinamento delle masse senza precedenti, avrebbe nettato le menti dalle tenebre del pensiero unico, risvegliato gli spiriti animali del principio di iniziativa e di intrapresa, del microcosmo intangibile della singola coscienza, dell’incombere del sacro, del mistero, della fede.

E invece no. Non era vero niente. Basta guardare la realtà dissociata che viene proposta, disposta e imposta a qualsiasi ora su qualsiasi argomento su qualsiasi social media – una realtà finta! – per capire che, passati quasi trent’anni dalla data simbolo della purezza ritrovata, non è cambiato nulla e che quell’illusoria ventata di libertà intellettuale non è stata altro che una fragile primavera di Praga destinata a soccombere per l’ennesima volta ancora. Con un paradosso davvero clamoroso. Siamo entrati nella stagione dell’ideologia senza le ideologie. Questa è la cosa davvero assurda e, a prima vista, inconcepibile. Si fa un gran chiacchierare, un gran blaterale e un gran sociologizzare sul tema delle fake news, che ci vendono come una novità, ma che in fondo non sono altro che le vecchie, care bufale vestite di nuovo. Sai che roba. I media si sono nutriti da sempre di balle spaziali, panzane colossali, infide sbianchettature per cancellare quello, far sparire quell’altro, dire questo, nascondere quest’altro, insabbiare, plagiare, strumentalizzare, killerare, troncare, sopire, cerchiobottare, paraculeggiare, zerbinare. Che c’è di nuovo? Niente. La novità vera, non tanto ai massimi standard di quelli che comandano per davvero - che se ragionassimo sulla manipolazione antropologica operata a nostra insaputa, anzi, con il nostro consenso beota, dagli over the top digitali, ci sarebbe da spararsi - ma restando al livello di noi popolo bue, è che ora l’ideologia è priva di qualsivoglia base culturale. Non ha più alcuna radice storica, sociale o intellettuale.È diventata pura fuffa.

Pensiamoci bene. Pensiamo bene al fascismo, al nazismo, al comunismo. Quei tre totalitarismi avevano una storia profonda, nascevano da un contesto culturale, dalla fine drammatica dell’Ottocento e della belle époque, dalla crisi delle guerre e da quella economica, dall’immissione delle masse nell’agone della politica, da tutto un fermento artistico, letterario, esistenziale che non è qui il caso di ricordare, ma che è sangue e polpa - sangue e polpa tragici, beninteso - delle nostre radici. Il Novecento è il più tragico dei secoli, ma anche il più interessante - ricordate la maledizione cinese? “Che tu possa vivere in tempi interessanti!” - quello in cui avviene tutto, ma tutto davvero e che ci ha regalato il più grande balzo tecnologico, economico e sociale mai visto fino ad ora, ma al contempo dei frutti avvelenati da tragedia greca, da fine dei tempi.

Adesso non c’è più niente. Le nostre false notizie, le nostre fake, le nostre palle atomiche che ci beviamo ogni giorno e che diventano virali, lo fanno a prescindere da quello che accade. Il nostro ideologismo, il nostro leonismo da tastiera non è figlio di una scuola, ma del nulla di noi stessi, delle nostre frustrazioni, dei nostri ridicoli fallimenti, dei nostri livori da tinello marrone. Non c’è Marx, né Lenin, né libretti rossi, né D’Annunzio, né Céline, né Ezra Pound, né la Riefenstahl dietro ai no vax o alle foto ritoccate della Boschi e della Boldrini ai funerali di Riina. I nostri complottismi non sono figli di scelte strategiche, di sacri testi dei padri di qualsivoglia pensiero, ma puro sgorgo di fogna, puro cascame che va addirittura oltre le legioni di imbecilli individuate da Eco. È ideologia senza ideologia. Pazzesco.

La verità è che la libertà è un pane duro, che i nostri teneri dentini da latte non sono in grado di masticare. Vivere senza padroni mentali è impresa terribile, così come tenere a bada i propri demoni, perché in quel caso sei solo davanti alla realtà. Non ci sono mamma e papà a pensare per te, a dirti cosa fare, a preparati pane, burro e marmellata. I libri - o i post - non sono moloch, monoliti, iconostasi da venerare, ma strumenti su cui sviluppare la tua intelligenza critica, il principio del dubbio, l’onere della scelta, la curiosità di chi esplora un universo infinito di possibilità, sensazioni, rischi, cadute.

E invece, appena usciti dalla cappa del comunismo e capito quanto sia fredda l’aria in faccia quando pedali fuori dal gruppo, non abbiamo visto l’ora di reimmergerci nella palude fanghigliosa del luogocomunismo, del conformismo 4.0. La nostra visione della realtà si è trasformata nella realtà in quanto tale a prescindere dalla realtà vera e nulla di ciò che accade nella realtà vera riesce più a cambiare le nostre convinzioni. Chi si beve i milioni di idiozie che girano nella rete non è un cretino. È una ennesima, piccola, vigliacca, pericolosissima pedina della nuova dittatura. Quella definitiva.

© RIPRODUZIONE RISERVATA