Volontari:una realtà
su cui investire

La provocazione lanciata dal consigliere Luigi Nessi è sicuramente degna di qualche considerazione. In un momento di crisi- è il ragionamento- il volontariato rischia di togliere lavoro a chi ne ha bisogno. Il compito di pulire i muri sporcati dai writers, ad esempio, potrebbe essere affidato ai disoccupati, invece che ai volontari.

Un’affermazione che si può condividere, ma fino ad un certo punto. Perchè è anche vero che in questo strano Paese, se non fosse per la buona volontà dei singoli, delle associazioni, dell’impegno civile, anche le cose più semplici verrebbero
risolte dopo attese di anni. Pulire i muri, riverniciare le panchine, restaurare una fontana, sarebbero imprese quasi impossibili. Ma lo stesso vale per questioni ed emergenze assai più drammatiche.

Semmai il discorso dovrebbe essere allargato, fino a sostenere quanto sia profondamente sbagliato considerare l’impegno del volontariato come qualcosa di dovuto e a cui nulla, invece, si deve. Proviamo a spiegarci. In questi ultimi vent’anni il volontariato ha assunto in Italia un ruolo fondamentale e insostituibile. Il motivo è molto semplice. La marginalità sociale non è mai stata considerata una responsabilità dello Stato. Semmai quasi una spiacevole conseguenza dei processi economici. Insomma se qualcuno resta indietro o resta escluso, non tocca allo Stato farsene carico, ma al buon cuore del volontariato.

Oggi chi perde lavoro e non ha i soldi per pagare le bollette, fa la fila agli sportelli della Caritas. Chi non arriva a fine mese, ritira le buste con i prodotti alimentari nelle sedi del Banco Alimentare. Chi non riesce a mettere insieme il pranzo con la cena, cerca posto nelle mense gestite dalle congregazioni religiose. Pensiamo agli anni ottanta quando intere generazioni di giovani sono cadute dentro la tragedia della tossicodipendenza. Dove trovavano risposta la disperazione e la solitudine di questi ragazzi? Le comunità terapeutiche sono nate per questo, per rispondere ad un deserto, ad una totale assenza. La genialità di uomini e donne che hanno costruito meravigliose realtà di accoglienza, sono riuscite a rispondere al bisogno di riscatto di migliaia di giovani che altrimenti sarebbero stati abbandonati al loro destino.

Pensiamo all’oggi, alla drammatica invasione di disperati che dai loro Paesi, fuggono dalla povertà e dalla guerra. Dove trovano accoglienza, occasioni di riscatto e di integrazione se non nella generosità e nel coraggio di centinaia di volontari?

Questa, che lo si voglia o meno, è la realtà. Quello che provoca inquietudine è che tutto questo non venga riconosciuto. Oggi chi cerca di rispondere alle drammatiche conseguenze della crisi, chi si assume la responsabilità di non far morire la speranza di chi si trova improvvisamente sprofondato nella marginalità, non è sostenuto. Sembra quasi che tutto sia considerato come dovuto. Qui sta l’errore. Il volontariato non può essere lasciato solo nel mare della disperazione anche perché ciò che può fare rappresenta solo un primo passo nel processo di riscatto di chi incontra.

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