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Venerdì 01 Ottobre 2010
La luce sfugge ai buchi neri
A Como scoperta da Nobel
Confermate nei laboratori della facoltà di Scienze le teorie di Stephen Hawking. Un primato che è valso ai ricercatori lariani un'improvvisa ribalta sui mass-media degli Stati Uniti
L'esperimento effettuato sul Lario è stato il primo al mondo a dimostrare una teoria formulata nel '74 dall'astrofisico inglese Stephen Hawking. Non a caso la notizia della scoperta è esplosa sui siti della comunità scientifica internazionale e sui mass-media americani, prima di rimbalzare in Italia. E, in ultimo, a Como, dove era nata. Il 23 settembre, dopo che la Physical Review Letter ha accettato di pubblicare la ricerca, Faccio l'ha resa pubblica, postandola nell'archivio online della Cornell University. Il 27 New scientist ha dedicato un ampio articolo alla scoperta comasca. Il giorno seguente l'ha ripresa il principale quotidiano economico statunitense, l'Economist, che ha chiosato il servizio con l'auspicio che l'esperimento del «doctor Faccio» sia sufficiente per convincere l'Accademia di Svezia a conferire il premio Nobel a Hawking, finora negato proprio per "mancanza di prove" a sostegno delle sue teorie. «Sebbene questi studi non possano provare che i buchi neri reali emanino radiazioni ed evaporino - scrive l'Economist -, offrono un forte supporto alle idee che hanno ispirato i ragionamenti di Hawking».
Proprio dalla visione hawkingiana dei buchi neri sono partiti gli esperimenti di Faccio e del suo gruppo. «I buchi neri non sono quasi mai neri - spiega il ricercatore comasco -. Innanzi tutto perché vivono di solito al centro di una galassia, dove ci sono gas e altre stelle. E poi perché, nell'inglobarla, emettono radiazioni potentissime. Anche se fosse in mezzo al nulla più totale, il buco nero sarebbe come una lampadina debole debole che continua a emettere luce. E poiché la quantità di luce che emette porta via un po' della sua massa, alla fine dovrebbe esplodere». Lo "squalo del cosmo" viene associato al nero perché i telescopi non riescono a vederlo, ma Hawking ha calcolato la sua temperatura (variabile da cui dipende la brillantezza di un corpo celeste): sarebbe un miliardo di volte più bassa di quella dello spazio circostante (270 gradi sotto zero), comunque sufficiente per supporre che qualcosa sfugga alla sua potentissima forza gravitazionale. Faccio, e i colleghi che fanno parte della sua équipe, lo hanno dimostrato senza bisogno di volare nello spazio profondo. Nei laboratori del dipartimento di Fisica e Matematica, in via Valleggio, hanno riprodotto una situazione analoga, illuminando con un raggio laser un blocco di vetro con particolari caratteristiche. «I fotoni della luce - spiega Faccio - interagendo con un materiale molto denso, creano lo stesso effetto che si verifica nella zona circostante il buco nero, chiamata "orizzonte degli eventi"». Succede, ed è quello che i ricercatori hanno misurato per la prima volta, che «una particella, il fotone a frequenza negativa, venga assorbita e quella che la accompagna, a frequenza positiva, emerga». Quest'ultima è la conferma concreta della cosiddetta «radiazione di Hawking»: l'astrofisico britannico, infatti, teorizzò la progressiva evaporazione dei buchi neri dovuta proprio alla quantità di energia che forniscono ai fotoni "in fuga".
La ricerca di Faccio & C. getta un po' di luce non soltanto sui misteriosi buchi neri, ma anche sulla facoltà di Scienze di Como, spesso al centro di polemiche per il basso numero di iscritti, che pochi mesi fa l'ha portata a rischiare la chiusura. «È importante far capire che a Como si fa anche ricerca di valore».
Pietro Berra
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