Don Marco, l'inchiesta si allarga
Controlli fuori dall'oratorio

La Procura della Repubblica sta svolgendo una serie di nuovi accertamenti su don Marco Mangiacasale, con particolare riguardo ad ambienti esterni a quelli della parrocchia di San Giuliano

COMO La Procura della Repubblica sta svolgendo una serie di nuovi accertamenti su don Marco Mangiacasale (nella foto), con particolare riguardo ad ambienti esterni a quelli della parrocchia di San Giuliano.
Si tratta di verifiche per certi versi dovute, legate al fatto che almeno una delle ragazze fin qui coinvolte non sia una frequentatrice dell'oratorio di via Monti, il bacino in cui, stante l'accusa, il sacerdote individuava le sue vittime. Per esempio: non ha nulla a che vedere con San Giuliano la ragazza protagonista, suo malgrado, dell'episodio di Roseto degli Abruzzi, quando in preda ai fumi dell'alcol (per sua stessa ammissione) il sacerdote allungò un po' troppo le mani, noncurante del fatto che fossero presenti anche alcuni genitori. Era una festa di fine estate, al termine della quale, come noto, alcune mamme e alcuni papà segnalarono l'accaduto al vescovo, che richiamò subito don Mangiacasale. Non ci sono conferme ma è probabile anche che la Procura sia decisa a indagare a Lomazzo, dove il sacerdote fu vicario prima di essere trasferito a Como. Ebbe contatti con ambienti oratoriali anche a Lomazzo, il che autorizza a svolgere qualche verifica anche da quelle parti.
È attesa, intanto, la formalizzazione della quinta denuncia, relativa alla quinta vittima, mentre in Procura continua la processione di ragazze e ragazzine di San Giuliano, le cui testimonianze i magistrati vogliono incrociare per poter completare un quadro quanto più esaustivo possibile della natura dei rapporti tra il don e le sue vittime, vere o presunte.
Marco Mangiacasale, intanto, resta in carcere, incassato il respingimento della richiesta di custodia cautelare ai domiciliari. È tuttora sottoposto a un regime di sorveglianza speciale.
È solo, ma è controllato giorno e notte dagli agenti della polizia penitenziaria, anche per evitare che possa compiere gesti inconsulti.

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