Il decoro di Como
e l’esempio dall’alto

Come ogni cambiamento che si profila nella cristallizzata quotidianità comasca, anche le modifiche apportate dal Comune di Como al regolamento sull’occupazione degli spazi pubblici (le norme che regolano anche l’aspetto esteriore degli esercizi pubblici) sono state accompagnate dalla loro abbondante e inevitabile serie di rimostranze.

Al solito, accanto alle obiezioni precise e in alcuni casi fondate che arrivano dagli addetti ai lavori, vi sono badilate di proteste poco pertinenti e fuori luogo, quelle che una volta si dicevano spregiativamente “da bar” e che ora sono il pane quotidiano di web e
social network. O tempora, o mores.

Per chi non avesse seguito l’ultima querelle della città murata, sta tutta nel rincaro del 5% della tassa di occupazione del suolo pubblico deciso dal Comune di Como, che ha fissato anche una serie di riduzioni dettate dal buon senso. Pagherà di meno, infatti, chi garantirà nel suo locale l’accesso gratuito ai bagni senza obbligo di consumazione, chi offrirà il collegamento internet wi-fi gratuito e chi non installerà slot machine. Per chi dovesse accogliere questi inviti, il rincaro sarà di fatto annullato.

Ma la parte che sta facendo più ribollire la sensibilissima categoria degli esercenti è quella in cui il Comune ha dettato materiali e colori per tavolini e sedie all’aperto, tende e ombrelloni, e ha regolamentato insegne e menu esposti al pubblico. Proibiti diventano tra gli altri i «cartelli recanti immagini delle vivande». Le nuove disposizioni, ha spiegato l’assessore Paolo Frisoni, sono volte a migliorare l’immagine e il decoro del centro cittadino. Sacrosanto. Ammirare i Plinii attraverso foto di lasagne filanti e spaghetti tracimanti non fa parte dei primi dieci piaceri della vita, così come travolgere un gelato di plastica alto come un adolescente o gustare un sorbetto sotto tendoni fosforescenti a motivi cachemire.

Detto che qualche ragione di lamentela sussiste, soprattutto da chi ha appena cambiato gli arredi esterni con il beneplacito dello stesso Comune e ora si trova a doverli cambiare su disposizione del medesimo ente, occorre anche sottolineare che un giro di vite in questo senso era auspicabile e necessario. Soprattutto se si vuole che Como faccia questo benedetto “salto di qualità” per accogliere non soltanto i turisti mordi-e-fuggi da domenica pomeriggio e quelli da gitarella-fuori-porta-in-infradito, ma anche i visitatori che oltre a crearci qualche disagio (leggasi parcheggi, traffico, inquinamento eccetera eccetera) possano lasciare traccia concreta del loro passaggio.

Come? Fermandosi di più in alberghi e ristoranti, facendo compere, visitando aziende, mostre, ville e musei, salendo sui battelli o sulla funicolare, scegliendo Como e non Lugano, Stresa o Sirmione come base per visitare Milano e così via. In questo senso ben vengano provvedimenti sull’aspetto esteriore della città, che deve adeguarsi a un turismo più esigente. Ed è più che bene che si trovino sponsor privati per la cura del verde pubblico (ne riferiamo proprio oggi in cronaca), per arredare un pezzo di lungolago, per restituire la vista del lago, per restaurare edifici e monumenti e quant’altro. Come è splendido avere volontari capaci di rimediare ai danni dei vandali. Sono forze diverse che convergono verso un unico obiettivo: rendere la città più accogliente. Bellissimo.

Il Comune, però, deve fare la sua parte. Non solo con le imposizioni ma anche con le opere: è giusto pretendere il decoro ma è doveroso fornirlo. Sistemando quanto prima le piazze del centro per dare completezza all’operazione Ztl, ad esempio; fornendo alternative per la sosta, asfaltando strade, rifacendo marciapiedi e arredando parchi. Se l’esempio viene dall’alto, i sacrifici si accettano più volentieri.

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@maurobutti

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