La testa dove vuole
ma i piedi in brianza

La testa può essere dove vuole lui (Lugano o Volgograd), l’importante è che i piedi siano ben puntati nella zona che segna i confini della Brianza. Nel Canturino Land, terra di basket e di tradizione. Terra di gente che vive di pallacanestro, che vada o meno al palazzetto. Perché non c’è un angolo, in città, nel quale il lunedì non si parli di quanto successo la domenica e il venerdì non si pensi già al nuovo impegno.

Come si dice “benvenuto” in russo? Dabrò Pagiàlava. Ed è quello che devono aver detto i vecchi soci della Pallacanestro Cantù a Dmitry Gerasimenko, da ieri azionista di riferimento del club. È il magnate che potrebbe cambiare i destini della squadra, pescando nel suo immenso patrimonio personale e nella smisurata passione che ha per questo sport. Già un bel vantaggio. Dopo aver fondato, a casa sua, una società – il Krasny Oktyabr che porta lo stesso nome del suo colosso siderurgico (il secondo per importanza in Russia) – ora ci riprova con un’altra. Gloriosa e tra le più vincenti d’Europa.

Ma sbarcare a Cantù e mettersi a fare basket non è una cosa qualunque. Perché si respira palla a spicchi ovunque, nella città dei tanti canestri quanti sono i cortili. E se dare del tu a Putin può essere un vantaggio, paradossalmente ora toccherà farlo con ognuno dei tifosi. Che poi spesso sono anche i fornitori. Che poi ancora più spesso sono quelli che magari comprano il cartellone al Pianella. Che poi sono pure coloro che acquistano e regalano il biglietto all’amico per ampliare il giro.

Nessuna intenzione di suggerire la policy aziendale a un imprenditore che ha fatto fortuna poggiando sulle sue intuizioni, ma la pretesa – forse velleitaria – di dargli un consiglio. Questa non è una realtà normale. Anzi. Questa è ancora la città che la famiglia Allievi ha reso famosa nel mondo non solo per mobile e merletto. Gestendo i rapporti e la società come si trattasse della grande famiglia di una cittadina facoltosa e operosa.

Là, sotto il campanile che scandisce il mezzogiorno per andare in pausa pranzo e le 19 per chiudere definitivamente bottega, tutto l’indotto che girava attorno a Pallacanestro e dintorni (dal primo fornitore di bevande all’idraulico pronto a intervenire in caso di doccia fuori uso) era totalmente “made in Brianza”. Per credo e per scelta. Siamo noi i primi a sapere che i tempi sono cambiati e che se serve cambiare il toner della stampante delle statistiche del Pianella ci si può affidare anche a un’azienda di fiori provincia, ma il tu per tu che qui ha retto per anni ha bisogno di conferme e strategie per continuare a crescere e a generare nuovo entusiasmo. Senza voler essere protezionisti, ma realisti.

Una sorta di “chilometro zero” del tifoso-fornitore-amico.

Per capirlo ed entrare presto nella nuova mentalità, Dmitry Gerasimenko ha bisogno di buoni consigli (anche per non dare cattivo esempio, come cantava De André) e ancora più bravi consiglieri: il primo (e saggio) passo in questa direzione il russo l’ha fatto confermando al suo fianco tutto il vecchio management, dal presidente Cremascoli al socio Antonio Munafò che deteneva (e detiene) l’1% della proprietà. Scegliendo, dunque, di non isolarsi. Pensando con la sua testa – come è ovvio che sia e come la quota societaria gli impone -, ma sapendo che Cantù non è Volgograd. Perché lì, nella vecchia Stalingrado, Gerasimenko ha costruito dal nulla. Qui invece dovrà lavorare sulla storia e con la storia, magari dando una puntellata alle fondamenta –sono vecchie e non decrepite – e, contemporaneamente, una pennellata di novità.

Non scordandosi di guardare le facce. Sì, le facce. Le facce della gente che viene (o non viene) al palazzo e che tifa Cantù. È il patrimonio di una società che, a differenza dei proprietari, non passa mai. Ma resta. Sempre.

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