L’occidente sotto assedio
Ma non può avere paura

E adesso sotto, di nuovo, con gli hashtag. Je suis tunisièn e je suis francais, e tutti in vacanza a Djerba e chissà cos’altro. La verità è che dovremmo essere come loro, come quest’orda di psicopatici che cerca la morte, se non altro per entrare nelle loro teste, e per capire dove diavolo vogliano andare a parare. Almeno per quanto riguarda gli attentati, come quelli di ieri, l’impressione è che ci sia ben poco da fare: che in definitiva valgano più le trenta vergini in paradiso e che l’unica soluzione sia quella di sperare di non trovarsi al posto sbagliato nel momento sbagliato.

È forse la prima volta, nella sua storia, che l’Occidente si ritrova a combattere una guerra così difficile, almeno in campo aperto. È più difficile della guerra condotta dall’Inghilterra di Churchill contro la Germania nazista a metà del 1940. I tedeschi ambivano a dominare il mondo, non a farsi ammazzare, mentre questi la morte la desiderano.

C’è una sola speranza. E cioè quella che anche questo ciclo si chiuda, come altri se ne sono chiusi e non sempre per una ragione precisa, visto che la storia sa anche essere molto illogica.

Nel frattempo, però, avranno avuto ragione i pochi che chiedono buon senso e fermezza, e che raccontano al mondo, più o meno inascoltati, di quanto siano pericolosi gli effetti dell’isterismo collettivo in cui stiamo precipitando.

L’attentato sulla spiaggia di Sousse e la prima decapitazione in trasferta, a Isère, avranno ripercussioni sulle politiche europee in fatto di accoglienza, già inesistenti e applicate in un clima di emergenza schizofrenica che non consente di risolvere nulla. Da oggi i partiti riprenderanno a declinare la questione nell’unico modo in cui non andrebbe declinata - cioè a fini propagandistici -, qualcuno ipotizzerà un utilizzo democratico del napalm (democratico nel senso che dovrebbe essercene per tutti, donne e bambini compresi), altri ancora riprenderanno a discettare di accoglienza con il solito approccio buonista che in definitiva sembra dannoso almeno tanto quanto le ruspe di Salvini. In altre parole lo show continuerà identico a se stesso.

Due cose soltanto, allora. La prima: le migliaia di profughi che approdano sulle nostre coste non sono tutte composte da musulmani integralisti. E anzi molti di loro arrivano da regioni lontane da quelle in cui in queste ore si consuma questa sanguinosa guerra fratricida tra sciiti e sunniti. Per cui: i nostri sforzi per la difesa del territorio andrebbero indirizzati con buon senso, a rischio di ritrovarsi con i ladri che entrano dalla finestra mentre si monta la guardia sulla porta.

La seconda: la Germania nazista era molto più pericolosa e, soprattutto, molto più potente. Nonostante i reportage, le tv e i giornali, nonostante i “post” che si accumulano in quella cloaca che è Facebook (in realtà non scherza neppure Twitter), il famigerato Stato islamico è “solo”, si fa per dire, molto cattivo. Senz’altro non è il colosso che pretenderebbe di poter piantare la sua bandiera in piazza San Pietro. Controlla la città di Raqqa, un posto dimenticato in mezzo al deserto siriano, e qualche centro iraqeno, Falluja e Ramadi. Il resto è tanta sabbia, sabbia su sabbia, e qualche migliaio di miliziani che peraltro avrebbero dovuto impossessarsi anche della Libia in quattro e quattr’otto ma che per il momento sparano molto e avanzano poco. Rommel non ce l’hanno.

Cioè: non possiamo avere paura. Non può l’Occidente avere paura. Possiamo temere, legittimamente, di cadere vittime di un attentato, senz’altro non che la fine nostra e di quelli come noi passi dall’operato di questa banda di psicopatici. Serve quello che è mancato fino ad oggi, che è mancato a noi come agli americani, e a tutti i nostri alleati, senza distinzione: sangue freddo e cervello. A meno di non voler credere di essere, oltre che spaventati, anche meno intelligenti di un kamikaze che sogna il martirio.

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