Orologi, metafora
di una città ferma

I numerosi comaschi che, in cuor loro, vorrebbero l’annessione alla Svizzera, adesso hanno una ragione in più per rivendicarla. Perché si può star certi che se Como dovesse diventare rossocrociata, gli orologi pubblici tornerebbero all’unisono a battere tutti la stessa ora: quella esatta.

Invece sui 33 collocati in città: ben 29 non funzionano. In un eventuale campionato del mondo dei segnatempo civici rotti, probabilmente non avremmo rivali. Certo, come recita quello che sembra diventato un mantra di palazzo Cernezzi, le priorità sono altre. E poi, in fondo, l’orologio pubblico è qualcosa che appartiene al passato come le cabine del telefono. Non ha più alcuna funzione perché ormai tra strumenti da polso, smartphone, apparecchiature elettroniche montate su auto e moto e display piazzati davanti a negozi e farmacie, l’ora esatta ci arriva addosso da ogni dove.

E allora perché questa levata di scudi contro questi aggeggi fermi o malfunzionanti che poi, comunque, almeno due volte al giorno sull’orario ci azzeccano? Forse perché Como dovrebbe essere, magari suo malgrado, una città turistica. E uno degli elementi qualificanti di questa specie di luoghi è il decoro urbano.

Perché è vero che chi arriva da queste parti non ha bisogno di sapere in quale momento della giornata si trova, però, magari un’occhiata verso questi orologi finisce per lanciarla e proprio perché consapevole della situazione oraria non potrà non notare il disservizio.

Como deve saper accogliere i tanti visitatori che la privilegiano. Quando attendiamo ospiti in casa, di solito tendiamo a far trovare loro un ambiente accogliente, pulito e ordinato. Per non fare una brutta figura e se ci teniamo a vederli ritornare. Lo stesso ragionamento vale per una città ed è soprattutto compito di coloro che la amministrano garantire le migliori condizioni a chi arriva perché magari non se ne vada con un cattivo ricordo.

Perciò, anche quella degli orologi fermi diventa una questione se non prioritaria quasi. Anche perché alla fine non è che ci vogliano sforzi titanici o investimenti epocali per rimetterli al passo.

Non consola, anzi, il fatto che la faccenda affondi le radici se non nella storia di Como, quasi.

Infatti, il dottor Mario Fraticelli, amministratore comunale degli anni ’90, ha ricordato su Facebook come proprio in quell’epoca ci furono alcune interpellanze di Marte Ferrari, politico di lungo corso e campione assoluto in materia, per sollecitare la soluzione del problema orologi malfunzionanti.

Qui allora diventa inevitabile cadere nella trappola della metafora. Sta a vedere che questi marchingegni graziosi ma trascurati sono lì a ricordarci quante volte Como sui grandi temi strategici per lo sviluppo cittadino sia arrivata in ritardo, quando ormai il treno era passato. La Ticosa e il lungolago sono lì a ribadircelo tutti i giorni.

Ma ce ne sarebbero altre di occasioni perdute sulle infrastrutture, sull’urbanistica, sulla cultura, sulla qualità della vita.

Nel rimettere a posto gli orologi si potrebbe anche collocare qualche sveglia che ricordi ai nostri amministratori che comunque il tempo di fare le cose fondamentali per garantire un futuro a Como e i suoi cittadini se non è ancora scaduto siamo lì.

È ora di combinare qualcosa perché su questi aspetti l’orologio di Como rischia sempre di rimanere indietro.

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