«Settembre Nero, quella strage ci segnò»

La ricorrenza Marzorati era a Monaco ’72 con la Nazionale: «E al villaggio olimpico eravamo vicini agli israeliani. Nella notte non ci accorgemmo di nulla, ma al mattino ci svegliammo con i tiratori scelti già appostati sui tetti»

«Una vicenda scioccante, anche a 50 anni di distanza. E io, allora, non ne avevo nemmeno 20». Settembre Nero, le Olimpiadi di Monaco di Baviera, l’assalto e la strage: il 5 settembre, il giorno in cui lo sport ai massimi livelli fu il pretesto per rivendicazioni politiche. Con una carneficina come risultato.

Sono tutti ricordi vivi, tremendamente vivi, nella testa di Pierluigi Marzorati. Che di quei Giochi era un giovane atleta, inserito nella rosa dell’Italia del basket.

Un’Italia forte

Un’Italia forte, con Dino Meneghin, Renzo Bariviera e Marino Zanatta tra gli altri, guidata da Giancarlo Primo.

La bandiera della Pallacanestro Cantù ricorda, più di tutto, come quel fatto – oltre a tutto il resto – distrusse lo spirito olimpico, i valori dello sport e il clima che si era creato all’interno del villaggio.

Italia e Israele erano vicine, per questioni di ordine alfabetico: «Era il villaggio olimpico più bello tra quelli che ho visto poi negli anni successivi: a Montreal c’erano strutture orrende, a Mosca le palazzine erano degli scatoloni, a Los Angeles grattacieli adattati. Eravamo vicini a Israele, le palazzine erano quasi confinanti, una di fronte all’altra. Per me quelle Olimpiadi, così giovane, erano il paradiso. E invece…».

Invece si sono rivelate un inferno. Nella notte del 5 settembre, il commando tristemente noto come “Settembre Nero” fece irruzione nel villaggio – i controlli, si disse, furono volutamente blandi nel nome di uno spirito di festa ed entusiasmo – e rapì 11 tra atleti e tecnici israeliani.

«In piena notte»

«In piena notte i fedayn palestinesi cominciarono a sparare, ci furono subito due morti tra gli isreaeliani - spiega il Pierlo - . Noi non ci accorgemmo di nulla, ma al mattino il nostro massaggiatore ci raccontò i fatti. Sui tetti, c’erano già appostati i tiratori scelti».

Le informazioni erano poche e spesso confuse: «Ricordo che uscimmo, andammo ad allenarci e pranzammo fuori dal villaggio. Eravamo in attesa di notizie, che ci davano i giornalisti inviati. Alla fine, scoprimmo tutto, ci confermarono la notizia della strage all’aeroporto e che i sopravvissuti erano stati trasferiti in fretta e furia in una località segreta».

La vicenda toccò tutti nel profondo: «La strage segnò tutti i gruppi e cambiò il clima: tornare al villaggio fu durissimo, per tutti. C’era spavento, ma anche delusione perché di fatto lo spirito olimpico era finito. E ricordo bene la crisi diplomatica che si aprì, c’erano tante questioni da risolvere». L’Olimpiade, tra le proteste andò avanti. L’Italia passò il girone, fu poi travolta dagli Usa – che persero la finale contro l’Urss, in piena guerra fredda -, fino al ko contro Cuba.

«Si decise di andare avanti»

«Si decise di andare avanti – dice Marzorati - e credo che, alla fine, fu la decisione giusta. Si sarebbe creato un precedente, che avrebbe potuto sulla carta attirare, in futuro, altri gruppi organizzati. Fu un fatto eccezionale, il segnale che andava dato era di non fermarsi. Fermandosi, sarebbe stato legittimo chiedersi se aveva ancora senso organizzare un’Olimpiade. Ma, detto questo, il ricordo di quei giorni è ancora terribile e purtroppo indimenticabile». L. Spo.

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