Kukoc, il guerriero
«Como amore mio»

In soli quattro mesi di esperienza in maglia del Como, e sole due presenze («e un assist!», sottolinea lui con orgoglio) in serie B, riuscì a diventare un idolo

Ve lo ricodate Tonci Kukoc? Domanda inutile. «Certo che sì», la risposta convinta, immaginiamo, di molti lettori e tifosi. Già, l’aggressivo centrocampista croato ha battuto un record, con la maglia azzurra: in soli quattro mesi di esperienza in maglia del Como, e sole due presenze («e un assist!», sottolinea lui con orgoglio) nel 2015-16, in serie B, riuscì a diventare un idolo della tifoseria. Modi spicci, aggressività da ultras, nessuna paura di dire le cose in faccia: il giocatore che molti tifosi sognano. Solo due presenze sul Lario, ma le convocazioni con la Nazionale croata dicono che c’era anche sostanza. C’è di più: da quando è andato via, con i suoi 56 tatuaggi, spesso Tonci ha postato frasi dolci per il Como su Facebook (oddio, dolci: condite da qualche parolaccia o espressione estrema), ha seguito le vicende del fallimento, ha intimato ai tifosi del Como di non mollare. A qualcuno era venuto persino il dubbio che potesse non esserci lui, dietro quel profilo. Ma perché mai Kukoc avrebbe dovuto lasciare il cuore in un posto dove ha avuto grandi difficoltà?

L’altro giorno sui social è apparsa la notizia del suo intervento a favore dei terremotati di Croazia, il suo Paese colpito duramente dal sisma, sia scavando personalmente che salendo sui tetti ad aggiustare crepe. E allora ci siamo detti: perché non sentirlo? E così ecco di fronte a noi un Kukoc per nulla cambiato nel suo affetto per Como. Oggi, a 30 anni, giocatore del Kisvarda, formazione di serie A ungherese.

Tonci, come va? «Bene grazie! Anche voi, leggo...». Bene a parte il terremoto... «Come sapete grandi terremoti ha colpito il mio paese in soli 9 mesi: è la mia patria, devo aiutare e devo difenderla. Dio non voglia che ci sia una guerra, perché partirei subito.... Molte persone sono rimaste senza casa, abitazioni per le quali avevano lavorato tutta la vita. È triste da guardare, il minimo che posso fare è aiutarla. Mi sono vestito senza problemi e sono andato in prima linea, dicono che è pericoloso, ma quando vieni a vedere tutto questo non pensi al pericolo. Alla fine puoi anche morire attraversando la strada...».

Sei soddisfatto della tua carriera? «Sono nato nel 1990, quelli erano gli anni della guerra: sono cresciuto attraverso tutto questo, non rimpiango nulla nella vita. Sono felice di essere in salute e di poter dare il massimo ogni giorno. Tutto il resto è come una ciliegina sulla torta». A Como hai lasciato un bel ricordo comunque, nonostante le difficoltà che hai incontrato.

«Sono stato a Como per 6 mesi, sono successe cose strane. Il club secondo me non era gestito bene, mi sembrava di essere tra i dilettanti. Sono stato in Italia per 3 anni e non mi è mai stato chiaro come incompetenti potesse gestire male i club, ho visto fallire molte grandi società ma alla fine non paga mai nessuno, solo i tifosi.... A Como mi sono divertito 6 mesi e ho sempre dato il massimo, non ho guardato ai soldi».

Ma la storia d’amore con Como? Perché? Spiegaci... «Non dimenticherò mai Como e i tifosi perché sono stati sempre con me. Sono un tifoso del Como e tifo per il “nostro” (posso dire così?) ritorno in Serie A. Ma soprattutto voglio che il club sia stabile e che le cose che sono successe quando il club è fallito non accadano mai più. Quando ero lì non capivo le dinamiche tra ds, allenatore e presidente... Rispettavo tutti, non litigavo con nessuno, non potevo cambiare nulla. La squadra? Avevo un buon rapporto con tutti, ma non uscivo molto, mi piaceva stare a casa con mia moglie e il mio cane».

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