«Gridai agli arbitri: mi fulminò»
«Ti chiamo Ciccio o Foruncolino?»

Gli aneddoti legati a Stankovic nelle parole di Marzorati, Della Fiori, Allievi e Merlati.

«Un visionario», «un amico», «un grande uomo». Così lo ricordano le persone che hanno conosciuto da vicino Borislav Stankovic e che con lui hanno vissuto gli albori della grande Cantù tra la fine degli anni ’60 e gli anni ’70.

Ricordi che, per qualcuno, riportano all’adolescenza, come per Pierluigi Marzorati, giovanissimo talento nel 1969, chiamato ad allenarsi con la prima squadra: «È un giorno triste per me: è rimasto lucido fino alla fine, ci sentivamo spesso. La prima volta che mi sono allenato con Stankovic avevo 16 anni. Ricordo una sceneggiata: stavo palleggiando in contropiede, Burgess mi afferrò per i pantaloncini e lui si arrabbiò con me, dicendo che non correvo».

Anche Ciccio Della Fiori è scosso: «Mi spiace veramente. Stankovic è stato una persona importante per la mia crescita umana e cestistica. Una delle prime volte che mi ha visto, mi ricordo che mi disse: “Ti chiamo Ciccio o Foruncolino?”, per via dei miei brufoli di sedicenne. Alla fine mi ha detto: “Forse è meglio Ciccio”. E da lì il mio nome è sempre stato per tutti... Ciccio. Riposi in pace, grande uomo».

Roberto Allievi, il figlio del “sciur Aldo” è sempre stato legato a Stankovic da una profonda amicizia: «Lui è stato l’uomo chiamato a trasformare la Pallacanestro Cantù da società dilettantistica a professionistica. Allora non aveva incarichi, con lui vincemmo uno scudetto, per poi andar via dopo tre anni a Cantù perché ormai aveva una carriera da dirigente ben avviata».

Non poteva mancare uno dei componenti del “Muro di Cantù”, l’idea tattica che fu una delle chiavi del primo scudetto dell’Oransoda: «Allora fece ridere i fini pensatori del basket - ammette Alberto Merlati -: era un’eresia pensare che tre giocatori di due metri potessero convivere su un parquet. E invece…».

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