Cantù, Consonni assolto in appello
«Nessun reato di usura né di falso»

In Svizzera decadono definitivamente le accuse al titolare dell’omonima “Contract Ch”. «Non fu illegittima decurtazione, guadagnavano stipendi al top della scala salariale del gruppo»

L’imprenditore Marco Consonni, 58 anni, già manager della Consonni contract Ch, filiale elvetica della omonima azienda canturina, noto anche per essere stato l’ispiratore del celeberrimo Ranzani (personaggio caro agli ascoltatori di Radio Deejay), è stato definitivamente assolto in Svizzera dalle accuse di usura aggravata e falsità documentale, per le quali nel 2016 era stato anche arrestato (salvo poi essere rilasciato su cauzione ma privato del passaporto e quindi impossibilitato a lasciare il Canton Ticino per oltre un anno).

La definitiva assoluzione è conseguenza del pronunciamento del tribunale di Appello, cui la procura ticinese si era rivolta per il solo reato di usura, dopo che già in primo grado Consonni era stato assolto anche dal reato di falsità in documenti. Il tribunale ha condannato uno dei principali testimoni dell’accusa al rimborso di circa 50mila franchi di spese legali, addebitando allo Stato il resto delle spese di giudizio.

La vicenda, lo ricordiamo, era scaturita da una denuncia del sindacato svizzero Ocst che nell’estate del 2016 chiedeva «la verifica di potenziali reati di valenza penale posti in essere dal mese di agosto del 2012 ad oggi ai danni di alcune decine di lavoratori», impegnati in alcuni dei cantieri della Consonni contract, che aveva tra i suoi interessi, oltre che la fornitura di arredi di lusso per la nautica, anche l’hospitality nel settore alberghiero.

In particolare, l’imprenditore canturino fu accusato, assieme a un dipendente della fiduciaria ticinese cui erano affidate le attività amministrative della Consonni Ch, di avere illegittimamente decurtato, tra il 2009 e il 2014 i salari di 11 dipendenti, facendoli lavorare nei cantieri degli alberghi dalle 50 alle 56 ore settimanali ma contabilizzandone soltanto 40 (in realtà durante il processo la difesa potè dimostrare, documenti alla mano, che le ore lavorate erano effettivamente quelle), e in qualche caso – sosteneva la procuratrice Chiara Borrelli – costringendo qualche dipendente a restituire in contante il denaro che fosse stato eventualmente pagato in più. In realtà gli avvocati luganesi Flavio Amadò e Sabrina Aldi - che hanno sostenuto la difesa in giudizio - hanno sempre ribadito che quegli operai avevano accettato di buon grado di percepire più del doppio del salario che avrebbero guadagnato in Italia (dove tutti continuavano a risiedere) anche se si trattava di stipendi più bassi di quelli previsti dai contratti collettivi svizzeri: «Guadagnavano stipendi al top della scala salariale del gruppo Consonni, non solo più di quanto avrebbero percepito in Italia ma anche più di quello che guadagnavano alcuni architetti».

© RIPRODUZIONE RISERVATA