Cantù, la versione di Manno
«Ho sparato perché ho avuto paura»

Il dramma di Cantù. Manno, interrogato ieri in carcere a Opera, ha raccontato la sua versione

«Non volevo sparare. Non volevo uccidere nessuno». Antonio Manno, 21 anni, è abbastanza tranquillo davanti al giudice milanese Elisabetta Meyer, durante l’interrogatorio di garanzia al carcere di Opera, su delega del gip Francesco Angiolini. Sa che le accuse a suo carico sono pesantissime: tentato omicidio e porto abusivo di arma da fuoco. Sa che Andrea Giacalone, 25 anni, si trova su un letto di ospedale, sempre in gravissime condizioni, dopo quei due colpi di lupara in via Corbetta, attorno alle 3.10 di giovedì 4 agosto.

Assistito dall’avvocato Aldo Edigi del foro di Milano, nominato di fiducia, Manno ha cercato di ripercorrere non solo quella sera, ma anche tutto il pregresso.Tra Giacalone e Manno non correva buon sangue e, secondo il 21enne calabrese, tutte le volte che incontrava Andrea nel palazzo di via Grandi, doveva subire una serie di insulti.

Insomma, Manno ha delineato una situazione di continui screzi, dove però - secondo lui - sarebbe stato Giacalone a provocarlo continuamente. E così sarebbe avvenuto anche quella maledetta notte in piazza Garibaldi. «Manno ha confermato di aver minacciato di morte Giacalone - ha spiegato l’avvocato - E poi si è allontanato per andare a recuperare l’arma». Davanti al giudice, Manno ha spiegato di aver comprato quel fucile a canne mozze da un “fantomatico” marocchino. «Mi ha provocato, io ho preso l’arma perché avevo paura di Giacalone».

© RIPRODUZIONE RISERVATA