Le mani della ’ndrangheta su Cantù
Dettava legge in piazza Garibaldi

Dietro le risse la guerra dei clan e la strategia dei Morabito per controllare il centro. Estorsioni e minacce per far chiudere chi non si arrendeva: i carabinieri arrestano nove persone

Non è tanto il tasso alcolico quanto piuttosto quello criminale ad aver trasformato le notti della movida di Cantù in risse, aggressioni e violenze. Altro che problema di ordine pubblico: calci, pugni e danneggiamenti compiuti negli ultimi due anni nei weekend di piazza Garibaldi e durante i mercoledrink del centro non erano episodi di contese occasionali, quanto veri e propri «atti criminali» realizzati con lo scopo di «destabilizzare gli equilibri» mafiosi del territorio e consentire alla famiglia Morabito di «assumere il pieno controllo di Cantù».

I carabinieri di Cantù, al termine di un’inchiesta durata quasi due anni, ieri mattina all’alba hanno fatto scattare le manette ai polsi di nove persone accusate di aver minacciato, picchiato, estorto, terrorizzato e messo sotto scacco i locali pubblici del centro di Cantù.

Tre dei nove arrestati sono accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso, perché considerati affiliati alla ’ndrangheta. Tutti gli altri rispondono di reati aggravati dal metodo mafioso. A capo del gruppo Giuseppe Morabito, 31 anni tra una settimana, ufficialmente residente ad Africo ma di fatto domiciliato in via Milano, nipote dell’omonimo pezzo da novanta della ’ndrangheta, conosciuto come “u Tiradrittu”, condannato a trent’anni di carcere per associazione mafiosa, armi e droga. In centro città era conosciuto da tutti come a capo dei “calabresi del bar Crystall”.

In buona sostanza Cantù è stata per due anni un terreno di scontro, il teatro di «episodi di violenza posti in essere con tracotante audacia in pieno centro a volto scoperto con la finalità di affermare sul territorio la presenza di un sodalizio altrettanto prepotente e sopraffattore con il conseguente assoggettamento della popolazione».

Il gruppo avrebbe iniziato a seminare il terrore in centro costringendo due locali a chiudere. I bulli legati ai clan, infatti, avrebbero cominciato a presentarsi nei locali, consumare senza però pagare, minacciare i clienti e, soprattutto, dare vita a risse e aggressioni contro gli avventori di quegli stessi locali. Il tutto - sospettano i magistrati - per poi offrirsi per rilevare i locali stessi ormai svuotati dai clienti a costo zero.

Il bollettino di questa guerra di mafia parla di due locali chiusi, un terzo ceduto, un giovane affiliato gambizzato, un automobilista terrorizzato a colpi di pistola, quattro estranei presi a sberle e pugni e mandati in ospedale. Si pensava fosse colpa dell’alcol. E invece era la ’ndrangheta.

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