Dieci anni fa la tragedia di Rumesh
Quelle vite sconvolte da uno sparo

Dal chirurgo che gli salvò la vita, al poliziotto che disarmò il vigile urbano Il resoconto di quella stagione drammatica attraverso i volti e i nomi dei suoi protagonisti

Martedì pomeriggio alle cinque in punto, un gruppo di giovanotti sorvegliati da un paio di agenti della Digos, ha esposto un paio di striscioni al San Martino, statale per Lecco angolo via Pannilani: «Libera espressione contro la repressione».

Dieci anni dopo il frasario non è cambiato granché. È lo stesso di quei giorni, di quel marzo del 2006 che consegnò alla storia il nome di Rumesh Raigama Achrige, il ragazzino di 18 anni che per sfuggire a un controllo della polizia locale si ritrovò con un pezzo di piombo piantato nella nuca, mentre l’Italia intera accendeva i riflettori su questa nostra piccola provincia facendolo rapidamente assurgere a simbolo dell’eterno spirito di rivalsa di tanta ribelle giovinezza verso il potere, verso l’autorità costituita.

Cosa resta di Rumesh dieci anni dopo? Di lui si sono perdute le tracce. Gli avvocati che all’epoca lo assistettero sanno soltanto che alla fine se n’è tornato a casa, nello Sri Lanka, con in tasca ancora parte del gruzzolo di un risarcimento cospicuo (un milione e 600mila euro) che aveva finito per attirare tanti, inevitabili appetiti. Con mamma Nilanti ai fornelli, la famiglia aveva abbozzato un timido tentativo di rimanere, aprendo un ristorante, il “Nildahara”, di brevissima fortuna in via dei Partigiani. Si fidanzò, Rumesh, nel 2007 con una ragazza del suo Paese, Nisansala, ma da allora di lui non s’è saputo più nulla.

Gli altri protagonisti di quella pagina di storia sono ancora tutti qui: Marco Dianati, il vigile che scivolando esplose quel colpo di pistola («Oddio, ho sbagliato...», disse) - salvo poi essere condannato a due mesi di detenzione per lesioni gravissime - fu prima sospeso e poi reintegrato in Comune ma senza uniforme (addetto a tutt’altre mansioni), così come ancora qui sono l’ex sindaco Stefano Bruni e i colleghi di una giunta che aveva fortemente voluto quel nucleo anti writer della polizia locale e che su quella vicenda si giocò forse definitivamente gran parte di un domani politico che già all’epoca iniziava a traballare. È andata molto peggio all’agente di polizia che quel giorno, passeggiando fuori servizio dalle parti di via Pannilani, intervenne a disarmare il collega della polizia locale. Al pm Mariano Fadda - che all’epoca indagava sull’incidente e che ancora oggi lavora in Procura - aveva raccontato che il vigile aveva sparato da posizione eretta, smentendo che fosse inciampato sul marciapiede, come invece si sarebbe poi accertato al processo.

È uscito dalla polizia, dopo essere finito nei guai per un giro di cocaina, dalla parte sbagliata.

Di sicuro, ovunque sia, Rumesh deve la vita ad Angelo Taborelli, il neurochirurgo che poche ore dopo l’incidente se lo portò in sala operatoria.

Il nucleo anti writer della polizia fu eliminato. Il futuro - ebbe modo di dire poco prima della pensione l’allora comandante Vincenzo Graziani - è nella costituzione di un’accademia di polizia locale. Addestramento, tanto, perché nessuno rischi più di scivolare ancora.

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